venerdì 26 aprile 2024
Racconti Western

Il volto della vendetta

Il calore quasi palpabile degli impietosi raggi che scendevano dall' implacabile astro fiammeggiante spossava qualunque entità che si muovesse nella piana del Gila River. L'aria di un caldo torrido saliva ondulata danzando tesa verso la ricerca di un refrigerio a quote più elevate. In mezzo a questa desolata arsura, tre cavalieri si avvicinavano con le cavalcature stremate e grondanti di sudore. Alla vista del fiume, in un ultimo sforzo, cavalli e cavalieri si gettarono nell'acqua. Ai cavalli sudati fu ovviemente impedito di bere, ma l'impatto con l'acqua fresca arrecò loro un immenso sollievo. In quanto ai tre cavalieri, si erano gettati a capofitto nei gorghi del Gila. Il primo che tirò la testa fuori dall'acqua fu Mc Thierman. Alzato il busto,grondava d'acqua quasi a ricordare una nave issata dal bacino di carenaggio. Ansimando, uscirono dai flutti refrigeranti anche il giovane Matt e la chioma rossa di Mike l'irlandese. Ora meno sudati, anche i destrieri ebbero la possibilità di dissetarsi ed accompagnarono profondi sorsi a niriti di piacere. Nel silenzio dell'arida prateria, rotto soltanto dal gorgogliare dei flutti del Gila, irruppe la voce acuta del giovane Matt: "John, qui è possibile attraversare?". Mc Thierman scosse la testa: "E' troppo profondo, e al centro la corrente è abbastanza forte", fece una pausa e si guardò intorno come per orientarsi, poi aggiunse: "Poco più a monte dovrebbe esserci un guado, a meno di due miglia". "Passiamo via terra?" chiese Mike. John diede una pacca sul collo del proprio cavallo, poi disse di no: "Lasciamo che queste povere bestie si rinfreschino i garretti nell'acqua del fiume. Quanto a noi, se vogliamo camminiamo pure all'asciutto, tanto i cavalli stanchi come sono non avranno nessun altro scopo se non seguirci". L'irlandese annuì scuotendo la folta chioma di riccioli rubicondi. Così i tre uomini uscirono dall'acqua e si incamminarono contro il senso della corrente, mentre i loro cavalli li seguivano sguazzando beatamente tra i fresci rivoli. Era un po' che camminavano, quando le acque del fiume cominciarono ad incresparsi e a saltellare sempre più, indicando un rialzamento del fondale. Erano arrivati al guado. Entrati che furono nel fiume, con l'acqua sopra le caviglie mentre aspettavano che arrivassero i cavalli, echeggiarono da dietro un ammasso roccioso poco lontano dalle rive del Gila una disordinata cacofonia di spari a ritmo serrato. All'udire il frastuono i cavalli si imbizzarrirono e presero ad impennarsi agitati. Tutti e tre i cavalieri corsero in mezzo al fiume ad acchiappare le redini prima che le bestie prendessero il via lasciandoli appiedati in mezzo a quella specie di deserto. Poi John montò al volo in sella, immediatamente imitato dai due compagni, e si lanciò al galoppo attraverso il fiume alzando un'enorme nube d'acqua. Frattanto al rumore degli spari disordinati s'aggiunse il crepitare scandito di ripetute salve di una fucileria ben nutrita. Mc Thierman fece segno a Mike e Matt di affincarsi a lui, e spiegò loro: "Là in mezzo c'é un reparto di cavalleria, e questi spari ordinati stanno ad indicare che sono riusciti ad organizzarsi in difesa. E quasi certamente dall'altra parte della battaglia sta una banda di Apache Chiricahuas. Perciò statemi bene a sentire: fate tutto quello che vi dico io, e statemi sempre dietro. Se vi ordino di sparare, sparate. Se vi ordino di scappare, seguitemi a rotta di collo. Ma soprattutto, fate quello che vi dico alla svelta. Avete capito?". I due compagni del pistolero risposero a coro unanime: "Sì!". A questo punto John accelerò l'andatura e spronò il cavallo verso l'attacco di un pendio che saliva fra le rocce. Attaccò con decisione il ripido declivio, e spinse il destriero su fra i massi, fino a raggiungere un tratto più in piano, ma neppure allora si fermò. Continuò a galoppare in un pericoloso slalom negli angusti passaggi fra i roccioni e le alte pareti rosse delle gole, fino a spuntare sulla cima dello spartiacque della ampia gola di un piccolo affluente del Gila. Quando l'irlandese ed il ragazzo lo raggiunsero, allargò le braccia per fermarli e mostrò loro attentamente la situazione. Arroccati fra alcuni massi lungo la sponda del fiumiciattolo, un drappello di cavalleria si era organizzato in una disperata difesa, ma aveva lasciato più della metà dei suoi cavalleggeri uccisi sulla pista. Fra le rocce del crinale roccioso, oltre una ventina di agguerriti Chiricahuas teneva inchiodati nella loro drammatica posizione i soldati. John parlò chiaramente e in tono secco e deciso: "Riparatevi, ma restate sempre in sella. Trovate un posto dove trincerarvi rimanendo in groppa al cavallo, e al mio ordine aprite il fuoco sugli indiani. Niente colpi di avvertimento, niente ferite superficiali, niente fucili che saltano. Tirate alla testa ed al busto, ce ne devono rimanere il più possibile lì sotto. E quando ve lo dirò io, mettete via i fucili e galoppate indietro per la via che abbiamo fatto fin qui. Non fermatevi neanche per guardarvi indietro. Venite dietro a me, a costo di spaccarvi il collo". Detto questo, fece un cenno, e i due suoi compagni presero posto. Anche lui si posizionò al riparo d'un masso color ocra, e sfoderò lo stupendo winchester. Con un ampio movimento azionò la leva dell'otturatore e caricò il fucile. Poi prese fiato, ed urlò con tutta la voce che aveva in corpo per sovrastare il fragore della battaglia: "Tenente! In Sella! Montate e filatevela fuori del Canyon!". All'urlo, gli spari s'interruppero di colpo. Tutti gli indiani in un attimo si girarono. In una frazione di secondo la scena parve bloccarsi. Poi Mc Thierman aprì un fuoco micidiale sugli indiani, imitato da Matt e dal fuoco incerto di Mike che faceva più confusione che effetto. Gli indiani volsero quasi tutti l'attenzione sui nuovi arrivati, e presero a sparare nella direzione da dove provenivano gli spari dei tre, mentre alcuni cominciavano a strisciare fra le rocce verso quella parte. Frattanto, mentre era iniziata la copertura dei Nostri, i soldati, senza chiedersi troppo cosa stesse succedendo, erano montati in sella ed erano usciti al galoppo dalla gola. Ora la battaglia si era spostata verso l'alto. Il tiro di John era cadenzato, non rapido, ad ogni sparo faceva eco con calma lo scatto secco e metallico della leva dell'otturatore, il ritmo non troppo serrato. Ma la precisione era micidiale. Sparò due, tre, cinque colpi, ed altrettanti Apaches fra le rocce stramazzavano nella polvere rossa impastandola con il sangue rubino delle loro ferite che li strappavano avide alla vita. Il tiro di Matt era più rapido, nervoso, alcuni colpi rimbalzavano sibilando acutamente sulle rocce, ma molti andavano a segno e il suo enorme Springfield calibro 56 apriva nei corpi dei malcapitati indiani orrendi crateri che attraversavano i busti e continuavano inarrestati la loro corsa. Quello che usciva dalla carabina Spencer di Mike era più rumore e fumo che un tiro. Per sbaglio, un indiano venne colpito da una delle pallottole vaganti dell'irlandese che aveva colpito una roccia dietro l'apache e, rimbalzando, si era conficcata nella sua schiena. Ma la battaglia durò molto poco. Ben presto John rinfoderò il fucile trattenendo il cavallo imbizzarrito per il frastuono delle battaglia, urlò a Matt e Mike la ritirata, e si infilò di nuovo sullo stretto sentiero che attraversava quella babele di massi e canyons. Dietro di lui i due compagni lo seguivano ad un galoppo serrato nonostante gli spazzi soffocanti e le curve strettissime. Usciti all'aperto sul crinale da cui erano saliti, vi si gettarono decisi giù scivolando lungo le pietre che si trascinavano dietro. In piano, puntarono sul drappello che si vedeva non troppo in lontananza e si lanciarono in un forsennato ventre a terra incitando in ogni modo le cavalcature. Qualche attimo dopo, spuntarono dalla gola, urlanti come ossessi, gli Apaches sui loro cavalli all'inseguimento. I tre cavalieri non ci impiegarono molto a raggiungere il drappello dei soldati. John si affiancò al tenente comandante il manipolo di cavalleggeri, e lo incitò ad aumentare l'andatura. "I cavalli sono stancchi, si sfiancheranno!" protestò l'ufficiale. "Che si sfianchino!" fece Mc Thierman, "Meglio che ci lascino la pelle loro piuttosto che noi. Il forte non è lontano, ce la dovremmo fare!". Il tenente rimase un attimo in silenzio a pensare, poi piantò gli speroni nei fianchi del cavallo e lo incitò selvaggiamente ad una corsa estrema. Tutto il gruppo accelerò l'andatura, ed il terreno che gli indiani stavano guadagnando sugli inseguiti non diminuì più e rimase costante. Correvano in mezzo a larghi piani fra bassi pendii sabbiosi, seguendo lo snodarsi in ampie curve della pista carovaniera. Girata un ultima curva, finirono le piccole alture, e di fronte a loro si aperse la prateria sabbiosa in tutta la sua ampiezza. In lontananza si scorgevano già le mura del forte. In mezzo all'immensa distesa della prateria, il nulla era scosso da questa enorme nube di polvere che si fiondava a tutta velocità verso il forte. Davanti, una striscia allungata di cavalieri che dall'alto appariva come una larga linea blu, con le divise della cavalleria che si accendevano al sole. Dietro, una presenza incombente li seguiva, muovendosi oleosamente come una macchia d'inchiostro variopinto sul terreno color ocra costellato di cespugli di un verde quasi lucente. Quando la figura del forte si delineava sempre meglio, e oramai se ne distinguevano nettamente le forme, il gruppo degli inseguitori si arrestò di colpo. Poi, con un ultimo grido, girò di scatto i cavalli e tornò al galoppo da dove era venuto. Appena John se ne accorse, fece segno al tenente di rallentare l'andatura. Le bestie, come non sentirono più il doloroso lancinante stimolo degli speroni sui fianchi, rallentarono di botto crollando al passo completamente sfiancati e con le teste a penzoloni. Mentre a questa andatura quasi statica procedevano come un corteo funebre, si videro in lontananza aprire le porte del forte ed uscire un carro con una piccola scorta. Mentre questo piccolo nuovo gruppo li stava raggiungendo, Mc Thierman prese parola col tenente: "Avete avuto molte perdite, tenente?". L'ufficiale ebbe un lugubre sospiro. Poi rispose: "Purtroppo sì. Più di metà degli uomini sono rimasti laggiù, compreso il mio diretto superiore, il capitano Warren. E di quelli che si sono salvati, quasi tutti sono feriti, diversi molto gravemente". "Come vi hanno sorpresi?" chiese John. "Stavamo compiendo una missione. Ci era stato ordinato di andare incontro alla diligenza che porta le paghe dei soldati, ma prima che potessimo compiere la missione, siamo stati attaccati in quella maledetta gola. Avevamo mandato avanti delle guide indiane, e non solo non si erano accorte di nulla, ma ci avevano anche segnalato di passare. E invece, quando siamo giunti in mezzo alla gola, sono spuntati quei diavoli dalle rocce, ed è diventato un inferno di fuoco. Ah, dannati traditori! Le guide sapevano tutto, erano d'accordo con gli Apaches!". John scosse la testa: "No, tenente, questo non è probabile. E' più facile che i Chiricahuas li abbiano uccisi, ed abbiano mandato uno di loro con addosso la divisa degli esploratori a segnalarvi il via libera". Il tenente mugugnò pensoso. Poi si trovò, un po' dubbioso, d'accordo con l'esperto pistolero: "Gìà, con probabilità deve essere andata come dite voi. Ma, signore, io non vi ho ancora rigraziato per averci salvati. La vostra azione, oltre che provvidenziale, è stata anche molto ben organizzata. Dovete avere esperienza di indiani e di queste zone, voi. Come vi chiamate?". "John Mc Thierman" fece il nostro pistolero. Il rigido e marziale tenente ebbe un sussulto sulla sella: "Voi siete John Douglas Mc Thierman?!", porse la mano a John stringendola con energia "E' davvero un onore conoscervi, signor Mc Thierman. Ed è ancora più un privilegio essere stato salvato da voi. Certo, non mi stupisco più della vostra azione. La vostra fama vi precede e vi fa conoscere!". "Già, già" la buttò bassa Mc Thierman, "Ma ditemi, tenente... Avete parlato di guide indiane. Voi, quindi, dovreste essere del sesto cavalleria di Crook". "Sissigore" rispose gagliardo il tenente: "E permettete che mi presenti: sottotenente Samuel Neeson, sesto cavalleria". John strinse di nuovo la mano all'ufficiale "E' anche per me un piacere conoscervi tenente. Però non mi aspettavo di trovare i vostri reparti, quaggiù. Per quel che ne sapevo io, le truppe di Crook erano più a nord". "Vi eravamo sino a meno poco più di un mese fa, signor Mc Thierman" rispose il sottotenente, "Ma siamo stati dislocati quaggiù per qualcosa di molto grosso, signore". "E di cosa si tratta?" fece incuriosito Mc Thierman. Il tenente lo disse in un tono solenne ed emozionato: "La resa di Geronimo!". John arrestò il cavallo, e si volse a guardare dritto in faccia l'ufficiale: "Peste, scherzate?!" fece poi. Neeson scosse la testa con un sorriso di fierezza in volto: "Nossignore! Crook è stato inviato quaggiù apposta per sbrigare l'Affare Geronimo, con ordini dall'alto, da Washington addirittura!". Per la prima volta Mc Thierman era veramente allibito. "Diavoli dell'inferno!" mormorò poi quasi fra sé e sé, "Il vecchio leone ha deciso di sotterrare l'ascia di guerra! Roba da non credersi!". Prima che potesse obiettare qualche altra cosa, il carro del medico chirurgo raggiunse la colonna. I feriti più gravi vennero immediatamente caricati sull'ambulanza, mentre un sergente si affiancò al tenente e domandò i fatti. John voltò il cavallo e raggiunse i suoi due compagni che erano rimasti staccati di fianco alla colonna. Così, poco dopo, entravano nel forte. Ad accoglierli sotto la tettoia del quartiere generale, un uomo non troppo alto, un poco abbandonato sul girovita. Ritto in aspetto marziale, le mani incrociate dietro la schiena, in testa il cappello cadeva floscio con la tesa che copriva la fronte stempiata. Una folta barba grigia incorniciava un sorriso severo ma incoraggiante e paterno. Non appena la colonna fece il proprio ingresso attraverso le porte del forte, questo personaggio scese i gradini della balconata e raggiunse il tenente Neeson, che frattanto era smontato di sella. Non appena il tenente lo vide, scattò sull'attenti e presentò il saluto marziale portandosi la mano tesa alla fronte. "Tenente Neeson a rapporto, signore!" esclamò poi rigidamente tutto impettito. Il vecchio soldato dalla barba grigia lo placò con un cenno della mano: "Prima andate a ripulirvi e a rifocillarvi, tenente" disse in tono affettuoso e paterno, "Quando vi sarete riposato, verrete nel mio ufficio per il rapporto". Il tenente fece scattare i tacchi: "Signorsì!", e quindi, dato l'ordine di sciogliere i ranghi, si diresse allo spaccio. Da dietro al soldato barbuto, risuonò la flemmatica voce di Mc Thierman: "Chi non muore, si rivede, generale!". Il generale si girò, ed un ampio sorriso apparve sotto i brizzoli della sua barba: "Mc Thierman! E' sempre un piacere ritrovarvi nei momenti più opportuni!" disse stringendo calorosamente la mano a John. Il pistolero prese la parola, e introdusse Mike e Matt: "Generale, permetta che le presenti i miei due ultimi pards: questo ragazzo" fece indicando Matt, "Si chiama Matt Duncan; è sveglio e svelto sia di cervello che con la pistola, ma ancora meglio col fucile. E se avrà un po' di anni da vivere, riuscirà ad avere abbastanza esperienza da non farsi ammazzare da qualche vecchio frontiermen come noi due, generale, che gli tenda un imboscata dietro un albero". Il generale sorrise stringendo la mano a Matt, dicendo: "Figliolo, avremmo bisogno di gente come te nella cavalleria!". "Già" sorrise Matt, "Solo che sono io a non avere bisogno della cavalleria!". Se la risero tutti e quattro, e poi Mc Thierman indicò Mike: "E questa chioma rossa è una pura figlia della verde Irlanda, generale! Il nome di questo simpaticone è Mike O'Connor, e fra una pallottola e l'altra cerca di fare il fotografo". Il generale strinse la mano anche a Mike: "O'Connor... Ho già sentito parlare di voi. Mi sembra che me ne abbia parlato Sheridan, e forse anche Grant... Voi eravate a Pittsburgh, vero?". "E anche a Gettysburg" rispose Mike, "E ad Appommattox e a Bull Run, e nello Shenandoah!". "Gia, già" fece il generale,"avevo molto sentito delle vostre fotografie. Certo, siete molto bravo!". Intervenne John: "Bene, ora, Mike, Matt, posso presentarvi il generale di brigata George Crook!". Entrambi gli amici del pistolero ebbero un sussulto d'emozione: "Voi siete davvero il famoso generale Crook?" balbettò poi l'irlandese, "E' davvero un onore fare la vostra conoscenza generale!". "Sì, sì" fece modesto il generale, "Ma ora lasciamo perdere i convenevoli", poi si rivolse a John: "Mc Thierman, avanti, ditemi come è andata...". John prese a parlare con calma: "Stavamo guadando il Gila, quando abbiamo sentito degli spari. Siamo arrivati al Canyon de Las Pedras Coloradas, e abbiamo trovato il vostro squadrone massacrato con un piccolo manipolo che si difendeva da una banda di Chiricahuas. Dovevano essere una ventina e forse più. Siamo intervenuti per dare modo al vostro tenente di disimpegnrsi rapidamente dal fuoco nemico, e poi ce la siamo filata anche noi. Gli Apaches ci hanno inseguiti, ma si sono ritirati quando siamo giunti in vista del forte. E questo è quanto". Il generale per tutto il racconto aveva ascoltato con attenzione ogni minimo particolare. Quindi disse: "Mc Thierman, quando arrivate voi è sempre un segno del cielo, o dell'inferno, dipende da che parte si sta. E in un momento come questo, forse non potevo sperare nulla di meglio che avervi al mio fianco. Sapete perché sono qui, vero?". Mc Thierman annuì: "Sì, me ne ha parlato il vostro tenente: siete venuto a raccogliere la resa di Geronimo. E' un bene che siate venuto voi. Quella vecchia volpe di montagna non si fida di altri che di voi fra gli occhi bianchi, oltre che di me. Ditemi, come si svolgono le operazioni?". "Ho mandato al confine col Messico due ufficiali e due guide indiane. Sapete meglio di me che un intero distaccamento avrebbe provocato con gli indiani più grane che altro". "Avete fatto bene" acconsentì Mc Thierman,"E chi avete mandato laggiù?". "Uno dei due è un tenente fresco di nomina, Davis, è appena arrivato da West Point, ma è un bravo ufficiale. L'altro dovreste conoscerlo, è il tenente Gatewood". "Charles Gatewood?" chiese John, "Sì lo conosco, è un brav'uomo e un ottimo ufficiale". Crook confermò: "Uno dei migliori. Dovrebbero arrivare col vecchio leone fra due giorni. E con la situazione che si è creata, la vostra presenza qui, Mc Thierman, mi solleva molto il morale". "Scotta, vero?" fece John. "Da bruciarsi a distanza!" rispose il generale, "Molti fra gli Apaches non sono d'accordo con la decisione di Geronimo di arrendersi, e diverse bande si sono staccate dalla tribù. Quella che ha ingaggiato la mia pattuglia dovrebbe essere una delle più numerose". Il pistolero scosse gravemente la testa: "E' sempre la solita dannata storia. E il problema è che le teste calde stanno sempre da entrambe le parti!". Crook negò con un secco cenno del capo: "Non questa volta, Mc Thierman" disse, "La situazione è troppo complicata per circondarmi di ufficialetti bramosi di carriera e medaglie. Con un paio di lettere giuste ho fatto in modo di circondarmi di tutti gli ufficiali migliori che mi hanno servito in tutte le mie campagne indiane precedenti. Non ci sono teste calde questa volta nei miei ranghi!". John sorrise: "Forse sarà come dite voi generale, me lo auguro, ma permettetemi di essere diffidente. Di idioti è pieno il mondo, e spesso essi si mascherano molto bene!". Crook si fece una grassa risata: "Vedremo, vedremo! Ma ora non stiamo qui sotto il sole! Andiamo nel mio ufficio, ho del vecchio Scotch nel mio armadietto!". Rallegrati, tutti i tre amici seguirono il carismatico personaggio nell'ufficio. Il fresco dell'ufficio era senza dubbio più piacevole della polverosa canicola del piazzale del forte, e fra risate e chiccchere di amici di vecchia data, lo scotch era un vero nettare delle highlands. Ma in meno di un quarto d'ora, si presentò pulito, sbarbato e profumato lo zelante tenente Neeson. Nonostante le pressioni del generale, i nostri tre preferrono lasciare l'ufficiale al proprio rapporto, ed uscirono fuori. L'attività sul piazzale era mutata radicalmente dalla confusione babelica precedente. Ora i sergenti avevano ripreso le esercitazioni delle reclute, gli artiglieri si erano di nuovo adoperati alla pulizia del loro pezzo Howitzer. Un anziano sergente maggiore, il decano del forte, stava fumando la sua saporita pipa sul portico proprio fuori del quartier generale di Crook; con i vecchi occhi abituati da anni alla vita militare osservava tutto, lo annotava nel memorandum mentale, e nulla sarebbe più stato cancellato. John, Matt e Mike scesero nella polvere del piazzale e lo attraversarono diretti alla cantina dall'altro lato del forte. Mentre stavano salendo gli scalini dell'impalcato di vecchio legno ingrigito, il nostro pistolero si sentì chiamare: "John Mc Thierman! Ora non riconosci più nemmeno le vecchie amiche?!". A sentire la voce, John si voltò di scatto. In piedi in mezzo al piazzale stava una bellissima giovane ragazza. Una splendente chioma di capelli rossi lisci e fluenti, che sbandieravano al vento, un volto sorridente che sprizzava una dolce gioia, la lunga gonna le svolazzava sospinta dall'aria della prateria. Il rude volto di Mc Thierman si rallegrò di colpo, in modo incredibilmente visibile. "Kathleen!" esclamò al settimo cielo. Poi corse incontro alla ragazza e la prese fra le braccia. La sollevò come un fuscello fiorito fece roteare mentre lei rideva gioiosa. La riposò in terra e le diede un affettuoso bacio sulle labbra sottili. Mentre si guardavano, ridevano anche con gli occhi. Poi, quando si accorsero che l'intero piazzale li stava osservando, recuperarono un certo contegno. Lui le cinse un braccio intorno alla vita e l'accompagnò dai suoi amici. Felice come non mai, John la presentò: "Mike, Matt, vi presento la mia vecchia amica Kathleen. Katie, questi sono due miei pards: quello giovane si chiama Matt Duncan, ed è uno svelto pistolero in erba; e il gioviale pacioccone è irlandese come te, si chiama Mike O'Connor e fa il fotografo". Matt disse in un tono ironicamente stizzoso: "John, mi sembra che sia un po' più di un amica, la simpatica Kathleen!". Mc Thierman senza guardarlo neppure troppo male gli affibiò un portentoso calcione nel sedere scrollandogli una nuvola di polvere dai calzoni: "I giovani galletti come te dovrebbero imparare a contare fino a dieci prima di parlare, e poi mordersi la linga e tenere il becco chiuso!". Poi guardò Kathleen, e insieme a lei scoppiò a ridere. Tutti e quattro insieme entrarono così nella cantina. Si sedettero ad un tavolo, dove ordinarono ad un simpatico oste messicano tanto alto quanto largo una bottiglia di buon vino. Frattanto iniziarono a parlare. Mike chiese a Kathleen: "Come è che vi conoscete voi e John, signorina?". Lei rise con un sorriso da premiare tanto era bello e fresco su quel visino, e rispose: "Chiamatemi Katie, Mike! Gli amici di John sono miei amici!". "Ok, Katie. Come avete fatto a conoscere questo brutto burbero scozzese?". "Praticamente è lui che mi ha conosciuto!" fece lei ridendo. "Cosa volete dire?" chiese l'irlandese. Rispose John: "Vuol dire che la conosco da quando era poco più che una bambina! Una mattina di parecchi anni fa mentre attraversavo le praterie un po' più a nord, trovai una colonna di carri attaccata e distrutta dai Comanches. Dentro uno di quei carri ridotti a dei tizzoni fumanti trovai questo piccolo dolce gattino che piangeva". "E che faceste, poi?" chiese a questo punto il giovane Matt. Parlò la ragazza: "Ricordo come se fosse ieri quando questo gigante mi tirò fuori dalle rovine del carro. Mi prese in braccio con un misto di rude forza e una sua tenerezza tutta particolare, e mi asciugò amorevolmente le lacrime. Mi chiese burberamente se credevo, e quando gli risposi di sì mi fece recitare una preghiera per i morti della carovana. Poi mi caricò con lui in sella al cavallo, e partimmo al galoppo. Viaggiammo più di una settimana; per me andava al tramonto nella prateria a cercare le bacche più dolci, che io mangiavo come le più buone delle caramelle. Fino a che non mi portò a Tucson. Conosceva il pastore, e mi affidò a lui, facendomi finire la scuola. Su quelle che abbiamo passato poi assieme, in tutti questi anni, ne avrei da raccontare in fiumi di romanzi. Fatto sta che ora ci rincontriamo, ed era più di un anno che non lo vedevo!". John le diede teneramente un buffetto sul nasino: "Ero finito in Canada, Katie!". "In Canada!" fece lei stupita quanto disgustata: "Anche lassù hanno bisogno di te per ammazzarsi fra di loro!". "John", fece Matt,"Non sapevamo che aveste anche un lato dolce ed umano!". Mc Thierman lo guardò con un'occhiata che avrebbe pietrificato un bisonte; gli puntò contro minaccioso il dito, e disse : "Prova a fare il furbo, e ti tiro il collo!". Matt rise, ma con un po' di paura in fondo alla gola. Preferì passare a parlare alla ragazza: "Non preoccupatevi, Katie. Ovunque passi John, non rimane più nessuno che abbia voglia di ammazzare qualcun'altro, proprio perché non rimane davvero nessuno! Li fa fuori tutti lui!". Mike se la rise della grossa. Katie replicò dolce: "Signor Duncan, siete svelto di lingua. Ma mi piacerebbe vedere se lo siete altrettanto con la pistola: a sentir dire John si direbbe di sì! Vi andrebbe di scommettere cinquanta dollari che me la cavo meglio di voi?". "Cinquanta dollari!" esclamò Matt, "Accidenti! Non mi sarei mai guadagnato tanti verdoni così facilmente! Certo che mi va, ma siete sicura di quello che dite? Voglio dire, voi siete... ecco... e io invece sono... insomma, mi capite, vero?". "Non preoccupatevi" fece Katie, "Accettate o no?". John intervenne: "Avanti, Katie, non cominciare con questa storia!". Lei gli fece gesto di piantarla: "Avanti, lascialo rispondere, John!". Matt rispose eccitato: "Accidenti, certo che accetto!". Si alzarono così in piedi, e Kathleen andò al bancone. John tentò di parlare al ragazzo: "Matt, ascolta...", ma Matt l'interruppe: "Avanti, John, non ho mai guadagnato tanti soldi così facilmente!". La ragazza si fece dare un barattolo di fagioli vuoto dal messicano, ed uscirono tutti poi sul piazzale. John frattanto tentava ancora di dire qualcosa a Matt: "Ragazzo, voglio soltanto ricordarti che tu non li hai cinquanta dollari!". "Appunto!" fece al settimo cielo Matt, "Fra poco li avrò!". La ragazza buttò abbastanza lontano il barattolo, poi disse a Matt: "Avanti, vediamo che sai fare!". Senza indugiare, Matt tirò fuori la pistola, e prese a tirare al barattolo. Il primo colpo lo fece volare in aria, ma non fece tempo a toccare terra che esattamente un attimo prima che potesse ritornare nella polvere un altra pallottola lo faceva volare più in là, e un'altra ancora e ancora, sempre più svelto fino alla fine dei sei colpi del tamburo della rivoltella. "Ora tocca a voi" fece poi Matt rivolto con galanteria alla ragazza, soffiando sulla canna della pistola, "Vado a riportare vicino il barattolo". "No, grazie, lasciatelo pure dove sta", disse dolcemente sorridendo Katie. Poi con quelle sue piccole manine che sembravano tanto delicate estrasse dal fodero di John entrambe le enormi colt 45 con un gesto solenne. Dopodiché prese anche lei a sparare. Il barattolo, colpito, saltò in aria, ma non ebbe la possibilità nemmeno di iniziare la parabola discendente. Le due pistole vomitavano letteralmente il fuoco. Il barattolo, tempestato d'una gragnuola velocissima di proiettili, prese a ballare una curiosa e ritmata danza in mezzo all'aria, sempre più in alto, finché non finirono anche i dodici proiettili e la scatoletta oramai ridotta ad una griglia informe e impietosamente bucherellata, ricadde a terra. Buona parte della guarnigione, che era accorsa agli spari, era rimasta a bocca aperta. L'unico a non essere stupito era John, che si stropicciava disperato la faccia. Katie gli restituì le rivoltelle, poi si rivolse a Matt: "Potrei avere i miei cinquanta dollari?". Il ragazzo era come imbambolato. Balbettando pietosamente, rispose: "Io... io non li ho...". "No?" fece con dolcezza la ragazza, "Oh, che peccato! Beh, è vostro il cavallo pezzato davanti all'ufficio del generale?". Matt annuì come stralunato. Con un bel sorriso sul viso celestiale, attraversò il forte e si avvicinò alla bestia. Frattanto John ricaricava le pistole con una certa sconsolatezza. Carezzò l'animale con amore sul collo e gli diede un tenero bacino sul muso, poi disse: "Beh, il vostro bel cavallo li vale tutti cinquanta dollari! Prenderò lui, e saremo più che pari!". Slacciò la cinghia del sottopancia, e sfilò la sella che appoggiò con cura sulla staccionata. Dopodiché si tirò su la gonna mostrando un paio di bellissime gambe sottili e sensuali. Montò in volata in groppa alla cavalcatura, e gli fece fare un giro di galoppo intorno al piazzale. Poi esclamò: "E' fantastico, grazie signor Duncan!", e si allontanò al galoppo verso le scuderie. Matt non aveva proferito verbo, era rimasto a bocca spalancata. John gliela chiuse spingendogli in su il mento. Poi, mentre inseriva le pallottole nel tamburo della sua Colt, disse calmo: "Io avevo cercato di avvertirti! Le ho insegnato io a sparare!". A cena scoprirono che il messicano tarchiatello era un maestro d'arte culinaria. Assaporarono delle saporite tortillas, delle enormi e succulente bistecche e un ottima torta la cui ricetta, secondo il simpatico cuoco fanfarone, discendeva direttamente dalle cucine dell'Imperatore Carlo V di Spagna. Assieme ai cibi furono vuotati anche diversi bicchieri di vino, e per qualcuno furono forse troppi. Sotto la sua folta chioma riccia e rubiconda, con un faccione ora altrettanto tendente al rubino, Mike stava allietando l'intera cantina col suo repertorio di canzoni irlandesi. Katie, a sentire alcune delle dolci nenie che sua madre le cantava quando era piccola per farla addormentare, si commosse. Fino a che, ricevuta la chitarra dal gioviale oste messicano, l'Irlandese non intonò la struggente "I'll take you home again Kathleen". Quando iniziò a cantare, John e Katie si guardarono dolcemente negli occhi. Poi lui si alzò e, avvicinatosile, la prese con tenerezza in braccio. Lei gli passò affettuosamente le braccia intorno al collo, e uscirono così nella notte illuminata dal chiarore della luna piena. John la portò fino sulla porta della baracca che le era stata data dal comando. Posandola in terra, lei gli disse: "Vieni, la notte è tanto bella, andiamo a fare due passi". Così passarono davanti alla sentinella che li lasciò andare con un sorriso di complicità, ed uscirono nella prateria. Lui le cinse le spalle minute e delicate con un suo robusto braccio, e le diede un bacio fra i capelli profumati. Katie alzò i piccoli occhi marroni che brillavano verso di lui. John vide per terra una giovane pianta di cactus, sulla quale pareva miracolosamente sbocciato un fiore stupendo. Si chinò e, tirato fuori il coltello da dietro la schiena, con un gesto esperto e difficilissimo, in una mossa svelta staccò il fiore dalla pianta. Appoggiandolo sulla lama, lo diede a Katie, che se lo pose con delicatezza fra i capelli. Poi si avvicinò a lui e gli passò tutte e due le braccia intorno alla vita. John le parlò con un tono che aveva del paterno: "Ehi, piccola, non ti ho ancora chiesto come ti trovi qui. Credevo di trovarti al tuo saloon a Tucson!". "E ci stavo fino a poco meno di due mesi fa" fece lei tenera, "Venni qui per portare un carico di botti di vino a José, il messicano. Ma proprio in quei giorni si è riscaldata la situazione con gli indiani, e per rischiare di partire e tornare da sola, ho preferito aspettare una qualunque carovana abbastanza numerosa che ritornasse a Tucson. E sono ancora qui!". "Hai fatto bene" fece sorridendo protettivo John, "Mi seccherebbe dover venire a portare fiori sulla tua tomba!". "Già, seccherebbe anche me!" fece lei ridendo. Scoppiarono tutti e due a ridere, e risero tanto appoggiando teneramente le fronti l'una contro l'altra. Poi lei, solleticandogli una guancia con un dito, gli chiese: "E tu, cosa hai fatto in Canada?". "La stessa cosa che faccio ovunque mi chiamano e per cui mi pagano" fece lui con un tono amaro. "Ammazzi degli uomini il cui unico errore è stato non assoldare te prima che lo facessero i loro avversari" rispose lei. "Già" annuì John con un tono colmo d'amarezza. Lei gli prese una delle sue ruvide e grosse mani fra le sue due minute manine affusolate e delicate. "Katie" disse John, "Devo raccontarti una storia". Preso fiato, Mc Thierman iniziò una lunga storia. Di un cowboy che si innamora di una giovane figlia di un capo Sioux. E che, sul punto di sposarla, sente il bisogno di andarsene, la lascia per ritornare nella prateria, alla vita che ha sempre avuto, con le stelle come tetto sulla testa, e come camino un fuoco di bivacco. Katie alla fine della storia gli strinse la mano con una tenerezza indicibile. "E' sempre così, John: tu te ne devi andare via, fa parte di te. Te ne sei sempre andato. Non hai una casa, non hai un posto fisso. Ti conosco da tanti anni, e lo so. Il tuo posto è ovunque ci sia legna da accendere un fuoco, un grilletto da premere e un cavallo per galoppare libero". Quando disse qusto, John la fissò attentamente nei begli occhi che riflettevano il pallore della luna. Con la mano le accarezzò dolcemente una gota. Poi avvicinò le labbra a quelle di lei, Katie si alzò in punta di piedi. Rimasero a lungo uniti in quel bacio, intorno a loro la prateria silente. La luna proiettava le loro ombre rade. Erano due figure d'amore nella tenera luce d'una notte del West. Il mattino seguente l'atmosfera del forte era colma d'una frenetica agitazione, tanto tesa che la si sarebbe potuta tagliare con una sciabola. Le truppe si affacendavano in sveltezza in assetto da parata, ufficiali e sottufficiali lucidavano gli ottoni delle uniformi, gli stallieri ingrassavano i finimenti. Anche il giovane Matt era stato coinvolto in questo turbinìo di vorticose frenesie. Quando seppe del motivo di tanta agitazione, si mise anch'egli a correre per lungo e per largo alla ricerca di John. Alla fine corse a svegliare Mike che ancora dormiva su un tavolo della cantina. Lo prese di peso, e, nonostante la mole dell'irlandese, lo trascinò fuori e lo scaraventò nell'abbeveratoio dei cavalli. Al contatto con l'acqua gelida, Mike cacciò un urlo acuto e intenso. Ma non appena gli fu detto a sua volta il motivo di tale confusione, scattò fuori dalla vasca e si mise a trottare in ricerca di Mc Thierman. Frattanto Matt si recò in fretta e di furia a chiamare Kathleen. Bussò con vigore alla debole porta della baracca facendola traballare pesantemente. Quando la porta si aperse, per gli occhi che erano abituati alla luce il ragazzo non riconobbe neppure chi gli aveva aperto, ma già stava mitragliando parole tutto agitato: "Presto, Katie, uscite, c'é una grossa novità! Svelta!". Poi si fermò di colpo. Si rese conto che non parlava con Kathleen quando vide che l'ombra che stava sulla porta davanti a lui lo sovrastava di tutta la testa ed aveva due spalle larghe come un armadio. Dalla penombra della stanza emerse l'imponente mole di Mc Thierman, vestito a torso nudo con i soli pantaloni. "Si può sapere cosa c'é tanto da sbraitare?!" disse secco. "Diamine, John! Vi abbiamo cercato per tutto il forte! Ma che ci fate qui?!" fece Matt; poi notò il fatto che Mc Thierman non portasse la camicia, ci pensò su qualche secondo, e poi sul suo volto apparve lentamente un sorrisetto malizioso. John con uno stivale gli affibiò un calcio in una caviglia: "Piantala, idiota! Allora, cos'hai da sbraitare tanto?". "Geronimo!" fece Matt, "Stanno arrivando il tenente Davis e Gatewood con Geronimo!". La fronte di Mc Thierman si alzò dalla sorpresa: "Per Giove! Dici sul serio!". Matt annuì ampiamnte tutto eccitato. "Arrivo subito!" fece Mc Thierman, e detto questo rientrò nella baracca sbattendo la porta in faccia al ragazzo. Andò presso il letto, dove la celestiale figura di Katie dormiva beata sotto le leggere lenzuola. John le carezzò con amore le spalle nude, e le diede un dolce bacio sul collo. Lei si svegliò con un sorriso carico di amorevole tenerezza: "Buongiorno!" disse sussurrando. Mc Thierman frattanto si stava infilando la camicia: "Se vuoi avere un risveglio divertente, ti consiglierei di alzarti". "Perché?" fece lei incuriosita, alzandosi a sedere sui cuscini. John si stava cingendo il cinturone in vita: "Sta arrivando Geronimo!". Sentito questo, Katie balzò letteralmente giù dal letto: "Davvero! Per Diana, sono già lì!". John scosse la testa sorridendo: "Forse sarebbe meglio che ti mettessi qualcosa addosso, prima" disse indicando la statuaria nudità di Katie. Lei gli rivolse un sorrisino di simpatia con un guizzo dolce degli occhietti che quel mattino assumevano alla luce le tonalità del castagno giovane. Mc Thierman si infilò il cappello ed uscì. Mentre stava attraversando il piazzale, e se ne trovava al centro, sotto l'asta della bandiera stellata che garriva orgogliosa al vento della prateria, la porta dell'ufficio del generale s'aperse e ne uscì Crook mentre stava calzandosi in testa il suo inconfondibile caschetto coloniale. Sceso anche lui fra la polvere, salutò con uno dei suoi sorrisoni bonari e paciosi John: "Mc Thierman, è arrivato il grande momento!" disse con un tono d'emozione in gola. Il pistolero strinse la mano del generale sorridendo, ma non aggiunse nulla. "Beh", fece sospirando il generale, "Andiamo!", e, aggiustandosi il cappello, si avviò. Al suo passaggio i reparti scattarono sull'attenti marziali ed impettiti. In lontananza, dalla linea dell'altipiano che si ergeva in prossimità del forte, già si vedevano apparire le sagome rossicce dei cavalieri in arrivo, mentre la luce radente del mattino colorava tutta l'aria di tenaci tonalità ocra dai rifllessi ramati. Quando le figure furono vicine, sempre più vicine, praticamente quando se ne poté scorgere il bianco degli occhi, ad un cenno del generale la banda prese ad intonare con emozione l'inno della Cavalleria degli Sati Uniti, la vecchia Garry Owen. I reparti si schierarono su due file, e presentarono le armi. La tromba squillò gli onori all'ospite. In mezzo a tutto questo, Mc Thierman si teneva in rispettosa disparte, dietro al generale, a fianco dei portabandiera a cavallo che reggevano gli stendardi della Cavalleria e le Stelle e Strisce della Nazione. I cinque cavalieri, due guide indiane, i due tenenti più la suggestiva figura di una leggenda vivente, entrarono dalle porte del forte in mezzo a tutti gli onori recabili a tale cospetto. Gatewood riconobbe immediatamente Mc Thierman, e lo salutò con un impercettibile segno del capo, cui John rispose altrettnto invisibilmente. Il grande Leone, la vecchia volpe delle montagne, il glorioso capo Geronimo, non diede segno di vedere il pistolero, ma lui sapeva che il grande guerriero lo aveva notato. Sceso da cavallo, il tenente scattò sull'attenti davanti al generale, quindi, secondo la più rigida etichetta marziale, presentò ufficialmente il famoso capo Geronimo. Per quanto lo riguardava, il guerriero Chiricahua, sceso da cavallo, non si curò di nessuno e si diresse deciso verso Mc Thierman, il quale gli stava a sua volta andando incontro. "Mc Thierman" pronunciò solenne Geronimo, "Il vederti riempie il mio cuore di gioia". E con queste parole, appoggiò le proprie mani sulle spalle del vecchio amico. "Goyatlah", disse John chiamando Geronimo con il vecchio nome Apache, "Sapere che hai scelto di porre fine alla sanguinosa guerra che massacrava il tuo popolo, rende immensamente più dolce il mio cuore nell'incontrarti di nuovo", e a sua volta pose le mani sulle spalle del grande capo. Poi Geronimo, separatosi con una smorfia di gioia dal pistolero, andò di fronte al generale Crook, il quale sorrise in un modo ampio e sincero, avendo di fronte l'amico-nemico di sempre. "Nantan-Lupan" disse con affetto misto a durezza nella voce il capo, chiamando il generale Lupo grigio, il nome che gli Apache gli avevano dato, "Vengo a parlare di pace". La barba di Crook plasmò un bonario ancor più ampio sorriso: "A nome del governo degli Sati Uniti, io accetto la tua tregua sul campo, Geronimo"; poi, in tono molto più amichevole, appoggiò una sua mano con confidenza su un braccio del guerriero Apache, ed aggiunse: "Vieni, beviamo un whisky, fumiamo un sigaro, e parliamo". Sull'impenetrabile maschera marmorea del volto di Geronimo, soltanto i suoi vecchi amici Mc Thierman ed il generale Crook riconobbero l'apparizione di un sorriso. Si diressero insieme nell'ufficio del generale. Katie dapprima rimase sul portico, da dove aveva vissuto tutta la scena, poi si unì a Matt ed a Mike e insieme a loro andò a fare colazione. Alcune ore dopo, la porta del quartier generale si riaperse. Ne uscirono tutti e tre: Geronimo, Crook e Mc Thierman. Il tenente Charles Gatewood, ripulitosi e ben rifocillatosi, attendeva Geronimo fuori della porta. Salutò calorosamente Mc Thierman stringendogli con vigore la mano, quindi prese in consegna Geronimo e l'accompagnò all'alloggio riservatogli. Il generale fece suonare il rapporto ufficiali da un trombettiere accorso tutto trafelato. John si diresse verso la cantina, dalla quale i suoi amici stavano uscendo per andargli appresso. Kathleen gli corse incontro abbracciandolo: "Cosa è successo, lì dentro? Di che avete parlato?". "Di tutto" fece Mc Thierman". "Di uomini e di Déi?" chiese Katie. "Di cavoli e di Re", rispose John, dandole un bacio sulla punta del nasino. Quindi aggiunse: "Avanti, andiamo a mangiare". I giorni seguenti furono intensi e carichi di fermento, certamente non passarono in un attimo. Le trattative con Geronimo non ebbero lunga durata, ma ora il problema stava nell'organizzare la vita delle tribù Apache nella riserva del Turkey Creek, cercando di imporre una vita e dei ritmi contadini ad un popolo che da sempre ha vissuto di caccia e che da sempre sente scorrere nelle vene il sangue del guerriero. Mc Thierman si chiamò decisamente fuori da tutto questo, ed i suoi amici con lui. Si rendeva perfettamente contro che tutto questo fosse innaturale. Capiva le manovre dei maneggioni politici. E sapeva che la pace, in queste condizioni, non sarebbe durata. Conosceva Geronimo, conosceva gli Apaches. Aveva provato a protestare con il generale Crook, dicendo che era assurdo pretendere di ridurre i Chiricahuas a degli zappaterra che sarebbero andati bene nel Wyoming o nel Vermont. E tutto quello che aveva ottenuto, da un Crook forse ancora più amareggiato di lui, era stata la copia di un ordine scritto del ministero della guerra e del ministero per gli affari indiani. Sapeva che la situazione in bilico sarebbe degenerata alla minima provocazione, e immaginava che il focolaio che si sarebbe acceso sarebbe stato ancor più devastante e difficile da domare di quello che si stava cercando di spegnere. In mezzo a tutto questo, le scorribande dei gruppi di predoni e razziatori che si erano separate dalla tribù di Geronimo continuavano a terrorizzare i ranches e le fattorie dell'ampia zona. I reparti erano costantmente impegnati nella caccia a questi invisibili fantasmi, che si palesavano soltanto per attaccare, tendere spietate imboscate, mordere senza pietà per poi lasciare la presa e d'improvviso fuggire. Mc Thierman, Matt, Mike e la dolce Katie attendevano la partenza di una carovana che avrebbe riportato la ragazza a Tucson, dove sarebbe stata certamente più al sicuro che non al forte. In questo tempo d'attesa, Matt aveva conosciuto una giovane ragazza. Si chiamava Louise, ed aveva poco più di diciotto anni. Una sera, quando alla cantina i soldati avevano organizzato una festa, fra il trambusto della musica e la fenesia generale Matt si era praticamente ritrovato fra le braccia questa esile figurina bellissima, con la quale aveva iniziato a ballare. Poco dopo Mc Thierman, che se ne stava seduto in fondo alla sala in un angolo con i piedi su una sedia, abbracciando affettuosamente Katie, aveva visto i due ragazzi uscire di corsa dalla porta sottraendosi alla folla in cerca di un luogo appartato. Il mattino dopo John era in scuderia, a strigliare il suo stupendo cavallo. Matt arrivò con un sorriso fra le nuvole in faccia e un aria stralunata. Si avvicinò al cavallo, e disse: "John, penso di esserci!". Sempre lavorando di bruscone di saggina, il pistolero chiese: "Ci sei dove?". Il ragazzo rispose con un lungo unico sospiro: "Sono innamorato!". Mc Thierman smise di strigliare, e lo guardò da sopra la groppa dell'animale: "Non mi sembra il momento!". Matt si risvegliò dalla sua estasi idillica: "Che intendete dire?". "Intendo dire che con il fermento che c'é in giro, hai scelto un brutto momento per andarti ad innamorare! Le bande Chiricahuas stanno oramai razziando senza sosta. Oggi io uscirò con uno squadrone assieme al tenente Gatewood ed al capitano Connelly. E partirà anche la carovana, che voi, tu e Mike, dovrete accompagnare fino a Tucson, perché l'esercito non può permettersi di assegnare più di una squadra di cinque uomini alla scorta del convoglio. E dato che tu sei la persona più in gamba che ci sarà a dover difendere i carri in caso di attacco, non ti voglio con la testa fra le nuvole! Avrai tempo di innamorarti quando sarai tornato!". Matt replicò pungente: "Ed allora voi e Katie?". John lo ghiacciò con uno sguardo pietrificante. Ma non disse nulla. Matt continuò il suo precedente discorso: "Ma voi non capite! Per questa ragazza provo qualcosa di incredibilmente speciale... quando è vicino a me sento un esplosione nel cuore, la stessa esplosione che lascia un vuoto profondo in sua assenza!". Mc Thierman guardava Matt con un sorriso, raro, sul volto. Poi gli diede una pacca sulla spalla: "Beh, complimenti ragazzo! Se questo non è amore, è quanto di più vicino possa assomigliarvi per un piccolo giovanotto presuntuoso come te" disse ridendo. Matt si riempì di un sorriso che coinvolse tutta la faccia ora gioiosa. "Ora, però, va' a prepararti!" disse il pistolero, "Fra poche ore anche il convoglio si metterà in marcia, e ti voglio in testa alla colonna!". "Sì" disse eccitato il ragazzo, e corse verso la porta. Proprio appena uscito, sbatté in Louise. Si misero a ridere, poi si scambiarono un lungo, caldo appassionato bacio carico di una naturale sensualità. Si separarono a fatica, quindi Matt corse nel suo alloggio e la ragazza entrò nella scuderia. Con una vocina squillante prese parola: "Signor Mc Thierman?" chiese. John alzò la testa: "Ditemi, signorina Louise!" fece pulendosi le mani impolverate. "Voi siete amico di Matt, vero?" chiese lei. "Non ci conosciamo da molto" rispose lui, " Diciamo comunque che insieme ne abbiamo passata qualcuna, e ci siamo salvati la pelle a vicenda qualche volta". La ragazza prese a giocherellare timidamente con le briglie appese ad un chiodo infisso in uno dei pali portanti le centine del tetto della stalla. Poi le indicò a Mc Thierman sporgendole in avanti con la mano, e disse: "Sono queste il segreto dell'amore. Io e Matt ci amiamo, posso dirlo. Ma ora è da stabilire chi tiene in mano le redini. Ditemi voi, signor Mc Thierman, come mi devo comportare?". John scosse la testa ridendo: "Voi avete una visione un po' distorta dei rapporti umani, signorina!". "Voi dite?" fece lei acidula. "All'età vostra" rispose John, "Certamente si vede ogni evento della vita come una salita da conquistare ferocemente. Ma col passare degli anni, i pendii si appianano, gli angoli si smussano, e si giunge a capire che non ha assolutamente nessuna importanza chi è a reggere le redini!". "In ogni tipo di rapporto umano" sentenziò lei con una voce acuta ed una punta di presunzione, "Uno è il dominatore, e l'altro è il dominato!". Il pistolero inarcò le sopracciglia con una dovuta aria di superiorità: "Ma così la vita si ridurrebbe ad una continua guerra". "E forse non lo è?" fece la ragazzina. Mc Thierman sorrise: "Signorina, allora aspettatevi molte sorprese dalla vita. Di buone, e di cattive!". Louise inarcò un sopracciglio con fare affascinante. Poi si allontanò senza dire una parola, pensosa. Dal fondo della scuderia, da dove aveva ascoltato tutto, arrivò a passi leggeri Kathleen. Da dietro, cinse le braccia intorno alla vita di John e si alzò in punta di piedi per dargli un piccolo bacio su una guancia. Lui si girò e le pose le braccia dietro la nuca, appoggiate sulle spalle di lei. "E qual è la tua guerra, John?" chiese lei. Lui continuò a fissarla a lungo, senza risposta. Poi la prese leggera, l'alzò e la pose in groppa al cavallo. Sorrise a vederla lassù: "Ti ricordi la prima volta che t'insegnai ad andare a cavallo? Al primo passo dell'animale perdesti la presa delle ginocchia e scivolasti giù rigida come un bastoncino!" disse ridendo come se rivedesse la scena. "Già" disse lei tenera, "E ricordo che ci fosti tu a prendermi". Mc Thierman le accarezzò una mano: "Ci sarò sempre prenderti, ogni volta che cadrai!". Lei sorrise grata e serenamente sicura. Mollò la stretta delle gambe e si lasciò scivolare giù dalla schiena del cavallo. John la prese fra le braccia leggiadra come un fuscello, con una presa sicura. Lei gli passò un braccio intorno al collo, e attirò la testa di lui verso la sua. Si scambiarono così un intenso bacio, mentre lui la teneva fermamente sicuro in braccio. Mc Thierman, Matt, Mike e Katie si rincontrarono sul piazzale qualche ora dopo. La carovana era pronta alla partenza, i capi-convoglio erano in fermento. Non era molto grossa: una striscia di carri lunga una diecina di vetture, provenienti dal nord e dirette in Messico, trasportanti stoffe e manifatture destinati alle rare boutiques simil-europee di Tucson, Nogales e di parte della Sonora, cui si era aggiunto il carro di Katie diretto soltanto fino a Tucson. Matt e l'irlandese Mike erano a fianco del carro della ragazza, pronti come scorta. John stava affianco al sedile, e teneva la mano di Kathleen. Quando lo squadrone C, al comando del capitano Connelly e del tenente Gatewood, fu completamente schierato pronto a partire subito dopo la carovana, i capi-convoglio diedero il via. Katie si chinò verso John e gli diede in fretta un bacio: "Cerca di non farti ammazzare, John!". Lui sorrise di lato: "Fino ad adesso ci sono sempre riuscito". Senza risposta, solo con un caldo sorriso, la ragazza incitò i cavalli e partì. La scorta di cinque soldati stava lungo la carovana con due uomini per lato ed il sergente comandante in testa. A loro volta, Mike e Matt stavano ai lati del carro di Kathleen, tenendola strettamente al sicuro. John rimase a guardare finché l'ultimo carro scomparse fra la polvere. Dopo, passò al galoppo davanti a tutto lo schieramento, fino a porsi a fianco del tenente Gatewood e del capitano; quindi disse a voce alta: "Avanti, andiamo!". Il capitano sbottò in tono marziale: "Mc Thierman! Voi siete qui per la vostra profonda conoscenza degli Apaches, e di questo vi rendo merito, ma non andate oltre questo! Se permettete, qui gli ordini li do io!", e poi, rivolto a Gatewood: "Tenente, per due al trotto!". Gatewood urlò secco e flemmatico l'ordine alle truppe: "Squadrone, per fila sinistra, per due. Trotto!". Così, impettito e formalmente ben inquadrato, lo squadrone imboccò le porte del forte verso l'ampia prateria. Mc Thierman, in sella al suo cavallo fuori schieramento, a lato della colonna, borbottò fra se e se: "Cominciamo male!". Alcuni minuti dopo fece segno a Gatewood di affiancarglisi. Il tenente accennò qualcosa al capitano, che lo congedò; Gatewood si allontanò dai ranghi con un saluto militare, e andò ad affiancarsi al pistolero. "Gatewood", fece John, "Che tipo è questo Connelly?". Il tenente rispose fermamente: "E' un ottimo ufficiale, Mc Thierman. Durante la guerra ha compiuto innumerevoli operazioni eroiche, ed ha comandato uno dei reparti di punta alla carica contro il fianco destro di Johnston a Shiloh Curch". "Magnifico!" imprecò Mc Thierman, "Così abbiamo un comandante che crede di poter sconfiggere gli Apaches attaccandoli come faceva sui campi di battaglia in Virginia! Fortuna che quel vecchio testone di Crook mi aveva assicurato che non c'erano idioti nei suoi reparti questa volta!". Gatewood abbassò la testa con un sorriso, poi la rialzò guardando in faccia l'interlocutore: "Mc Thierman, vi dico soltanto che il capitano Connelly è un uomo del tipo che mi fa apprezzare ancor più la vostra presenza". Mc Thierman imprecò pesantemente, poi spronò il cavallo. Qualche ora più tardi, la colonna procedeva lungo la costa rocciosa di un altopiano, fra il caldo e il silenzio rotto solo dal rumore degli zoccoli sulle pietre e il tintinnare di sciabole e finimenti che echeggiavano fra i massi del crinale, mentre la polvere si impastava col sudore sulle divise e colava lungo le tempie. D'improvviso Mc Thierman s'arrestò come allarmato da un silente frastuono. Lanciò il cavallo al galoppo verso il capitano, e prese ad urlare: "Via! Via dal declivio, capitano! Allontanatevi!". Alle urla del pistolero fecero immediatamente eco, dalle rocce, diverse salve di una fucileria dei Chiricahuas scarna ma che sparava selvaggiamente. Mc Thierman arrivò dal capitano: "Ritiratevi, allontanatevi da qui!". Connelly sguainò con con un gesto glorioso la sciabola. Poi fece secco, rivolto a John: "Mc Thierman, ora avete esagerato! Qui, fino a prova contraria, comando io!"; quindi, rivolto ai suoi soldati: "In formazione d'attacco! Fronte al nemico! Trombettiere, suona la carica!". John era furioso; estrasse una delle sue pistole in un lampo, e la puntò al capitano: "Brutto imbecille! Ferma quei soldati o sarà l'ultimo errore della tua vita!". Il capitano era paralizzato, mentre un sergente sopraggiungeva da dietro. Mentre Mc Thierman pensava che il sottufficiale fosse venuto a far ragionare Connelly, quello invece con il calcio del fucile lo colpì duramente sulla nuca, e John stramazzò a terra. Lo squadrone, così, si arrampicò al galoppo lungo il ripido declivio caricando gli Apches, e questa fu l'ultima immagine negli occhi impotenti del pistolero. Più tardi,rinvenne sentendo dell'acqua fresca sul volto, e una mano bagnata che gli stimolava con dei piccoli schiaffi la faccia. Gatewood, chino su di lui, gli parlò: "Mc Thierman, come vi sentite?". John si portò una mano alla testa: "Oooh! Mi sembra di avere un nido di vespe in testa!". Lentamente, e sorretto da tre uomini per via della sua erculea e statuaria mole, si rimise in piedi. "Dov'é quel fenomenale idiota?" chiese massaggiandosi dolorosamente dove era stato colpito e guardandosi intorno. Gli rispose Gatewood: "Il capitano Connelly è morto guidando la carica su per il crinale roccioso". Il pistolero non nascose un sollievo: "Ben gli sta a quel fanatico bastardo! E oltre a lui avete avute molte altre perdite?". "Tre uomini, più due feriti non gravi" disse triste ed amaro il tenente. John fece una smorfia di rabbia: "Ne ha fatti ammazzare tre quel pazzo assassino! Che possa bruciare all'inferno!"; poi aggiunse pensoso: "E gli Apaches?". "Non appena i nostri uomini sono giunti in cima al declivio" gli rispose Gatewood, "Sono saltati a cavallo e se la sono filata". Mc Thierman lo guardò eloquentemente, ed il tenente rispose ancora: "Tranquillo, non li ho seguiti! So bene quanto voi che è l'errore più grande che si possa fare!". John sorrise annuendo: "Quanti erano?". "Dalle tracce gli esploratori indiani hanno calcolato una mezza dozzina di cavalli". "In sei!" sbottò il pistolero, "Solo in sei ed hanno tenuto in scacco uno squadrone, dalla loro posizione! All'inferno Crook, che diceva di non essersi portato dietro degli imbecilli! Questo era il rappresentante in Senato degli imbecilli!"; aggiunse poco dopo: "E in che direzione si sono diretti?". "Sono scomparsi fra le gole della Mesa Encantada" rispose Gatewood, "Ma poco fa abbiamo visto una piccola nuvola di polvere all'orizonte sulla prateria che si dirigeva a Sud". Nonostante il colpo subito, la testa di Mc Thierman ebbe uno scatto che fissò lo sguardo atterrito del pistolero dritto negli occhi di Gatewood. Il tenente sobbalzò appena ci riflettè sopra. Dopo una selvaggia bestemmia, esclamò: "La carovana!". Quindi diede secco e svelto l'ordine: "Tutti in sella, svelti!". Mc Thierman fu il primo a balzare in groppa al suo cavallo. Mentre il reparto montava, John chiese a Gatewood: "Chi è stato a colpirmi alle spalle?". Un sergente di grossa ed alta corporatura si fece avanti in sella: "Sono stato io, con il calcio del fucile. E sono pronto a rifarlo contro chiunque minacci un mio superiore!". John gli si avvicinò con calma. Poi, rapido come un fulmine, gli mollò un fenomenale diretto che lo scaraventò giù di sella e lo fece atterrare ad alcuni metri dal cavallo. Quindi girò il cavallo, e partì al galoppo sfrenato, seguito a rotta di collo da Gatewood e da tutto lo squadrone, mentre il sergente rimase in terra tramortito. Coprirono in poco più di un'ora il secondo cateto del triangolo di cui la rotta tracciata dalla carovana era l'ipotenusa e il percorso che loro avevano compiuto fino a quella scarpata l'altro lato. Quando furono in vista del convoglio, lo spettacolo che si presentò ai loro occhi fu di una desolazione terrorizzante. Le carcasse fumanti dei carri erano disposte ad un rozzo semicerchio, al cui interno, come ombre, vagavano atterrite ed assenti le figure dei carovanieri sopravvissuti. Tutt'intorno una distesa di immobili macchie opache e torbide sulla sabbia mossa dal vento, corpi esanimi trucidati orrendamente, bianchi e pellirosse mischiati dalla battaglia ed accomunati dalla somma livella. Lo squadrone ebbe a farsi coraggio, e si diresse deciso verso i carri. Le persone spaurite e spettrate osservavano il reparto sfilare ordinato in mezzo alla cessata bolgia demoniaca con occhi sfibrati e stravolti. A pararsi davanti alla colonna, una figura che in volto, dietro ad una maschera di durezza, conservava ancora i colori della vita. Matt si pose proprio di fonte al loro cammino, e Mc Thierman balzò giù da cavallo al volo. "Dal nulla" fece il ragazzo ancora scosso e drammaticamente provato: "Sono spuntati dal nulla! Erano nascosti sotto la sabbia! Sono saltati fuori dalla terra all'improvviso, e tutti insieme, cominciando ad urlare come matti! Noi abbiamo provato ad organizzare una difesa, ne ho ammazzati quanti potevo, ma quei diavoli rossi erano dappertutto! Arrivavano da ogni punto della vista, e ad ogni colpo uccidevano, mozzavano, fracassavano...". John chiese atterrito: "Katie! Dove sta Katie?". Poco più in là, adagiata contro la ruota per metà carbonizzata d'un carro, giaceva Kathleen. Il suo viso soave e teneramente bellissimo si era ora tramutato in un'angosciante maschera di sangue, che le aveva imporporito tutto il vestito e si era raggrumato fra i leggeri capelli. "Katie!" urlò disumano Mc Thierman, la voce rotta dall'angoscia del terrore. In un secondo, dentro di lui s'aprì un'enorme voragine nella quale sprofondò il suo cuore, che inghiottì tutto quanto e lasciò un vuoto incolmabile. Poi, in fretta, crebbe dentro di lui un altrettanto bestiale odio che parimenti nulla aveva d'umana natura. Corse di scatto verso il cavallo, su quale balzò in volata. Uscì sul teatro dello scontro, ed osservò attentamente le tracce; poi, determinata la direzione, piantò senza pietà nei fianchi della cavalcatura gli speroni lanciandosi in un determinato, spietato inseguimento. Mentre un terzo degli effettivi dello squadrone rimaneva a recare man forte con i primi soccorsi alla carovana, ed una staffetta partiva per il forte, i restanti soldati, guidati saggiamente dal tenente Gatewood, partirono dietro all'irrefrenabile pistolero. Le tracce mostravano dove gli Apaches, poco lontano, fossero montati sui cavalli che avevano lasciato per la fuga, e questa scia di orme era diretta decisa verso el Canyon del Diablo. El Canyon Del Diablo è un'ampia gola, dagli innumerevoli punti d'accesso, che al proprio interno si perde in una miriade di stretti anfratti, o s'apre in immensi spazi aperti in mezzo ai quali, a loro volta, s'ergono torrioni rocciosi o s'inabissano voragini di massi rossastri. Mc Thierman infilò ostinato e deciso l'imboccatura del Canyon. Gatewood fece fermare il reparto prima di fare ingresso in mezzo a quel labirinto di pietra. Ma quando vide John infilarvisi senza ripensamenti, non poté esitare, ed ordinò, riluttante, il galoppo dritto verso l'entrata. Quando furono all'interno, si ritrovarono in un'enorme valle, circondata da invalicabili scoscese pareti di pietra rossa, il cui unico altro sbocco era un altro passaggio all'altra estremità dell'ampissima gola. D'improvviso Mc Thierman arrestò la sua corsa tirando le redini fino a far impennare il cavallo, e voltandolo sulle zampe posteriori. Lo squadrone si fermò, un poco più lentamente, facendo cerchio intorno a lui. Nella valle l'immobilità delle vibrazioni nell'aria, era turbata soltanto dal nitrire nervoso dei cavalli. Poi, come dal nulla, in mezzo all'alzarsi di urla selvagge, dallo sbocco da cui erano entrati i soldati dietro al pistolero, irruppero al galoppo una banda di Chiricahuas. Quasi contemporaneamente, dall'altro canalone d'accesso fece ingresso un'altro manipolo d'Apaches in assetto di guerra. I soldati, terrorizzati e disorientati, si guardavano fra loro. Prima soltanto che Gatewood avesse il tempo di guardare in entrambe le direzioni per decidere il da farsi, Mc Thierman aveva estratto le sue due Colt 45 con una mossa fulminea. Altrettanto rapidamente, Gatewood pose mano alla propria rivoltella, ed ordinò ai suoi soldati: "Armi alla mano!", e poi, immediatamente dopo, quando tutti erano girati verso il secondo canalone: "Trombettiere, Carica!". La tromba squillò acuta e gloriosa in mezzo al frastuono di urla e spari, mentre il manipolo di eroi si gettava contro gli altrettanto coraggiosi Apaches, che altro non facevano se non pensare di stare dalla parte giusta, come ogni combattente in guerra. Mc Thierman, le redini fra i denti, si era gettato in mezzo ai pellirosse sparando furiosamente con entrambe le pistole. Gatewood, dietro di lui, con maestria militare e coraggio umano guidava magistralmente la carica sfondando con successo le linee nemiche. Con un numero di perdite tutto sommato contenuto, il reparto ora fuggiva in una fila allungata per i canaloni che si snodavano nel labirinto del Diablo. Poco dopo il budello pietrificato s'aprì alla luce, e davanti allo squadrone si parò la figura frastagliata di un'enorme torrione roccioso scavato dalla tenace erosione di millenni di venti impetuosi. Alle sue pendici, un piede in declivio, sul quale una selva di massi giaceva quasi a preintenzionalmente costituita trincea. Vi si fiondarono sopra come un treno a binario libero, senza freni. Appena giunti in mezzo alla giungla di pietra, fra i massi che ovunque spuntavano come enormi funghi dal suolo brullo, si gettarono letteralmente in terra, pronti ad imbracciare il fucile. Si posizionarono velocemente ciascuno dietro una roccia, posti lungo il declivio per diverse file fino a formare un fronte di fuoco ampio e abbastanza compatto. Gli indiani, dal piano, giungevano in massa lanciandosi con terrorizzante vigore verso i soldati. A mano a mano che s'avvicinavano, pareva paradossalmente che si venisse a creare sempre più un misterioso silenzio. Gli Apache galoppavano sfrenati sempre verso i piedi del torrione, oramai stavano prendendo di slancio la salita. D'improvviso, quel cacofonico silenzio venne rotto da un urlo di voce ferma e baritonale: "Fuoco!" urlò il tenente Gatewood. Dai fucili dei soldati, quasi all'unisono, partì una tempesta spietata di piombo rovente, che si abbatté sui Chiricahuas con tutta la sua forza devastante. I guerrieri presero orrendi a cadere da cavallo, i cavalli stessi caddero sotto i colpi ricevuti le loro carcasse presero a rotolare giù dal declivio investendo chiunque tentasse di salire. Ma, immediatamente dopo, i valorosi guerrieri Apache erano già addosso alla prima linea, dove con impeto selvaggio seminavano orribilmente dolore e morte. Una seconda salva di fucileria convinse gli indiani ad una precipitosa ritirata, ponendosi alla svelta fuori tiro. Si raggrupparono allineati abbastanza lontano da non essere colpiti, e si prepararono ad un'altra carica. Nel mentre di questa battaglia, non un proiettile era stato sparato dal fucile di Mc Thierman, non uno dei grilletti delle sue pistole era stato sfiorato, nessuna delle sue armi fumava per gli spari. Non era neppure smontato di sella. Con un ghigno malefico, un demoniaco mefistofelico sorriso sul volto sconvolto in una smorfia d'odio puro, aveva assistito disumanamente compiaciuto alla carneficina che era appena avvenuta. Mentre i Chiricahuas, imperterriti, rimanevano immobili sui loro cavalli in lontananza, John prese a discendere il crinale. Non appena le

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Il Vangelo secondo John Mc Thierman

Il sole alto in mezzo all'intenso azzurro del cielo faceva brillare più del vero gli intensi colori delle montagne. Mc Thierman cavalcava tranquillo lungo il greto di un torrente senza dire una parola. Poco dietro di lui, Matt era abituato a certi lunghi silenzi del suo nuovo amico, e li accettava di buon grado, senza protestare, e si rinchiudeva anch'egli nel proprio mutismo finché John non decidesse di riprendere la parola. Procedevano proprio lungo la base del crinale della montagna, dirigendosi, lontano dalle piste, verso la cittadina di Colorado Springs. Dal Montana non avevano mai attaccato la salita su per i fianchi delle valli, ed avevano sempre galoppato in pianura costeggiando costantemente la sagoma imponente ed impressionante delle Rocky Mountains. Da circa una settimana dormivano all'adiaccio, e Colorado Springs sarebbe significata il primo materasso morbido e le prime coperte calde dopo nottate passate al freddo sulla terra umida e dura. Era stato Matt ad insistere per recarvicisi, costringendo la coppia ad una piccola deviazione sulla via verso sud, ma concedendo così al giovane di riposarsi, rifocillarsi e divertirsi. D'altronde, era lui a conoscere la cittadina, i saloon e le piacevoli compagnie, perché John non vi aveva mai messo piede, né era mai passato per di lì. Girando un ansa del fiume, gli alberi si diradarono e si aprì davanti a loro un'enorme radura. All'incirca al centro di essa stava un secolare albero solitario, e sotto a questo albero stavano sei o sette persone a cavallo. Mc Thierman si arrestò di colpo tirando le redini del cavallo, e con un braccio fece segno anche a Matt di fermarsi. "Che succede, John?" protestò Matt. Mc Thierman indicò il gruppetto all'ombra dell'albero. Poi fece segno con una mano verso il crinale, e disse a Matt: "Vai lassù, e trovati un buon posto". "Oh, andiamo!" sbottò il ragazzo "Voi vedete guai anche dove non ve ne sono! Ci sono sei o sette persone sotto un albero, vi sembra il caso di farla tanto lunga? Passiamo di lì, li salutiamo e poi ciascuno per la sua strada, che problemi avete?". "Sei persone con i fucili in mano, sotto un albero. In mezzo a loro un settimo, senza fucile e persino senza cappello, in sella con le mani dietro la schiena, sotto un albero. Io lo chiamo linciaggio. Ora, ragazzo, vuoi deciderti a salire su quella riva?". Matt, stizzito ma convinto, chiese: "E una volta lassù, che devo fare?". John gli rispose con calma:"Trovati un buon posto da dove sparare. Mi hai tanto decantato come sai tirare bene. E' ora di dimostrarmelo". "D'accordo John" rispose eccitato il ragazzo, "quanti devo tirarvene giù di sella?". "Neanche uno" rispose secco Mc Thierman, "Con il tuo bel fucilone saresti in grado di centrare una pallottola a quella distanza?". Matt ci pensò un attimo: "Una pallottola, dite? Sarebbe un bel tiro, ma... Beh, sì, se con queto sole luccicasse a dovere penso che ci riuscirei". "Bene" fece John, "Avrai occasione per dimostrarlo. Ora va', non perdre altro tempo". Matt girò il cavallo verso la crina e spronandolo si arrampicò per la pendenza. Con un colpo di sproni, anche Mc Thierman si diresse verso il gruppetto. Quando fu discretamente vicino, uno dei cavalli dei linciatori nitrì, e solo allora si accorsero della presenza estranea. Mc Thierman avanzò impassibile fino a qualche metro dai sette, notando che il condannato, con un faccione rubicondo e lentigginoso e una chioma di folti capelli ricci con due lunghe basette color rosso-arancio, era un inconfondibile figlio della Verde Irlanda. Quando fu abbastanza vicino, venne fermato da un ordine di quello che pareva il capo della piccola combriccola: piccoletto, scarno, capelli grigi, una cicatrice sotto l'occhio sinistro, gracchiò: "Fermo dove siete, straniero!". Mc Thierman arrestò il suo cavallo, rimanendo dritto in sella, con un volto duro come scolpito nel granito. "Cosa ha combinato questo mangiapatate di Irlandese?" fece con voce fredda. "Rubava la terra"rispose il piccoletto brizzolato dal viso scarno. "Perché la coltivava, vero?" chiese con palesemente falsa ingenuità John. "Già, proprio così" gli risposero. "Mentre voi la volete per cercarvi l'oro, non è vero?" continuò John. "Vedo che avete già capito tutto, straniero" gli venne detto in tono truce. "Io non sono certo un avvocato" perseverò McThierman, "Ma non conosco nessuna legge che vieti di zappare la terra e coltivarla, piuttosto che bucherellarla per cercarvi del metallo giallo!". "Ehi, straniero, cercate rogne? Sapete, fareste meglio a farvi gli affari vostri, a non impicciarvi di quelli degli altri. Quindi fate il bravo, girate il cavallo e tornate da dove siete venuto". Mc Thierman scosse la testa: "Eh, no, mi dispiace. Sapete, è dall'età di quattro anni, quando presi a calci un cane perché molestava le mie galline, che ho la pessima abitudine di impicciarmi degli affari degli altri. Ma possiamo venire a un compromesso. Posso pagarvi la vita di quest'uomo". Gli occhi del piccoletto luccicarono: "Senti, senti... e hai portato dell'oro con te, straniero?". Mc Thierman scosse la testa. "Dell'argento?" chiese ancora il piccoletto brizzolato. "Solo piombo!" sibilò fra i denti Mc Thierman. Sul volto del piccoletto apparve un ghigno maligno ed amaro: "Eh, col piombo non si compra nulla, purtroppo... E così dovrò ucciderti, e prendermi anche quelle tue belle pistole!", e così dicendo con un gesto fulmineo fece per estrarre la sua Colt. Ma, per quanto il suo gesto fosse stato rapido, prima ancora che la canna della sua pistola uscisse completamente dalla fondina, una delle due "stupende" Colt di Mc Thierman era apparsa in mano al suo proprietario, e stava già vomitando fuoco. L'unico colpo che John aveva sparato fracassò la mano del piccoletto ancora nel movimento di alzare la pistola, strappando all'uomo una bestemmia selvaggia. Un secondo colpo, mirato più in alto e a destra, recise netta la corda che legava il collo dell'Irlandese. Poi la canna ridiscese a minacciare gli altri cinque compari del bassotto brizzolato. A questo punto parlò Mc Thierman, diretto al ferito: "E ora di' ai tuoi scagnozzi di fare i bravi, buttare i fucili e slacciarsi i cinturoni tenendo le manine lontano dalle pistole, se non vogliono ritrovarsi nelle tue condizioni". Imprecando dolorosamente, grugnì a Mc Thierman: "Brutto bastardo! Noi siamo ancora in sei, e tu sei uno con solo quattro colpi in canna. Anche se sei maldettamente svelto, uno di noi ti fredderà prima che tu possa mettere mano all'altra rivoltella". Un sorrisino apparve sul volto di John: "Ti sbagli. Ne hai un altro svelto quasi quanto me dietro di te a circa ottanta metri sulla collina, e sei pericolosamente preso fra due fuochi". Digrignando i denti, il piccoletto rispose: "Maledetto, stai bluffando!". Per tutta risposta Mc Thierman con la sinistra estrasse un proiettile dalla cartuccera intorno al cinturone, la tenne in mano per aria facendola vedere bene, poi la gettò in terra. Non appena scomparve fra i ciuffi d'erba, uno sparo eccheggiò fra gli alberi e la pallottola esplose individuando la propria posizione con una nuvoletta di fumo. "Come vedi il mio compare spara anche piuttosto bene" sentenziò Mc Thierman, "E le vostre teste vuote sono dei bersagli ben più facili di un proiettile". La fronte rugosa del piccoletto si imperlò di sudore; poi, con voce tremante, questi disse: "Ma chi diavolo sei?". Con voce ferma e truce, gli rispose:"John Mc Thierman". Al sentir pronunciare questo nome, tutti i sei linciatori ebbero un violento sussulto. Anche l'irlandese, per la prima volta, dopo non aver neppure mosso un muscolo durante gli spari, sobbalzò sulla sella. Il piccoletto brizzolato dal volto scarno farfugliò alcune parole: "Oh, beh... ma, allora... allora è diverso... ci deve essere stato uno sbaglio signor Mc Thierman!". "Già" sibilò Mc Thierman a denti serrati, " da parte tua!", e così dicendo fece partire un altro colpo che colpì la tesa del cappello del piccoletto e glielo fece volar via dalla testa. "E ora fa' quel che ti ho detto e poi vattene, con i tuoi sicari da quattro soldi! E fai in modo che le nostre strade non si rincrocino!" lo minacciò John. Il piccoletto fece un rapido cenno con la testa, e tutti i suoi uomini si slacciarono cinturoni. Poi raccolse in fretta le redini con la mano sana, ed ordinò ai suoi:"Andiamo, ragazzi!", e spronarono i cavalli al galoppo verso una pista che attraversava il bosco. Mc Thierman si rivolse all' ex-condannato: "Allora, Irlandese, qual è il tuo nome?". "Michel O'Connor, signor Mc Thierman. Ma per gli amici sono Mike. Voi chiamatemi Mike" ripose l'irlandese. "D'accordo, Mike" sorrise John, "E ora, mi potresti indicare la via per arrivare a Colorado Springs? E' li che ero diretto, prima di inciampare nel tuo contrattempo". "Farò di più" rise Mike, "Vi ci accompagnerò io stesso, se prima mi slegherete le mani!". Johnsi fece una sonora risata: "Avanti, vieni qua con quel ronzino che ti slego!". L'irlandese spronò piano il cavallo, che si avvicinò a Mc Thierman. Questi estrasse il coltello dalla cintura e con un colpo netto recise la corda cheserrava i polsi del poveretto. Mike, appena libero, si massaggiò i polsi e subito anche le mani per scacciare il formicolio. "Allora" fece John bonariamente spazientito, "Mi ci porti in città o devo andare a salvare qualcun altro per farmi indicare la strada?". "Hai fretta di una dolce compagnia, scozzese?" replicò sarcastico e acido l'irlandese. Mc Thierman rimase accigliato: "Mio padre era scozzese. Ma io sono nato e cresciuto in Texas, dove l'unica cosa buona che hanno portato gli irlandesi sono le irlandesi!". "E il whiskey!" ribatté Mike ridendo. "Bah" fece ironicamente snobbante John, "Una bottiglia della vostra porcheria non vale un bicchiere di Scotch invecchiato una ventina d'anni!". L'irlandese sorrise: "Certo, non posso pretendere di meglio da uno che è sempre vissuto in quella landa arida e desolata che è il vostro Texas. Vi conosco di fama signor Mc Thierman, ma non di professione. Ranger?". Mc Thierman scosse la testa: "Pistolero. Non ho mai potuto soffrire un distintivo che mi obblighi a essere qualcuno o a fare qualche cosa. E poi non ho sempre esattamente vissuto entro i termini della legge, e non ne sarei certo un buon rappresentante e tutore". "Non direi" protestò O'Connor, "Da quello che avete fatto oggi sembrerebe proprio che un distintivo vi starebbe a pennello". Mc Thierman si arrabbiò: "Vogliamo stare tutto il giorno qui a discutere di me, o preferiamo andare?". L'irlandese se la rise, e spronò il cavallo in direzione dell'interno della valle che si insinuava fra i monti poco oltre l'enorme radura. Giunti ai limiti del prato, in prossimità dei primi alberi, li raggiunse Matt, arrivando ad un galoppo ventre a terra. Arrivato quasi addosso a John e all'irlandese, si fermò di colpo facendo impennare il cavallo: "Salve John! E' andato tutto bene, ho visto!". "Già, anche per merito tuo! Ottimo lavoro Matt!". L'irlandese rimase disorientato: "Scusate, Mc Thierman... Chi sarebbe questo giovanotto?". "Questo giovanotto" rispose John, "E' quello che ha colpito la pallottola che ho gettata in terra". O'Connor sgranò gli occhi: "Sei stato tu, ragazzo?! Ottimo tiro, davero un ottimo tiro! Eccellente, fantastico!". Matt sorrise arrossendo di modestia:"Beh, grazie signore. Io mi chiamo Matt Duncan, e voi come vi chiamate?". "Mike O'Connor, ragazzo". Matt si alzò la tesa del cappello, e disse stupito:"Siete davvero Mike O'Connor, il famoso fotografo?". Mc Thierman assunse un espressione accigliata: "Matt, dannazione, è mai possibile che tu conosca mezza America fin da prima di incontrarla?". Il ragazzo si rivolse a John senza capire: "Che volete dire, John?". "Diamine, quando hai incontrato me, appena ti ho detto il mio nome sei saltato su come se io fossi famoso come una di quelle attrici da teatro delle città o il presidente stesso!". Matt gli rispose sincero: "Ma voi siete davvero così famoso, John, forse anche di più del presidente!". Mc Thierman continuò incurante dei complimenti ricevuti: "E adesso pretendi di sapere chi sia il nostro amico irlandese qui. Beh, per una volta ti sbagli. Questo bonaccione dai capelli rossi è un contadino che cerca di sporavvivere da queste parti. E gli riesce abbastanza difficile, a quanto abbiamo potuto vedere...". A questo punto, O'Connor prese la parola: "Mi spice dirvelo, McThierman, ma avete ragione solo in parte!". John lo scrutò di traverso: "Che intendete?" disse. "Intendo che Matt ha ragione: perquanto la mia fama possa essere discutibile, io faccio il fotografo, e le mie fotografie sono state pubblicate su molti giornali di tutto il mondo". John sbuffò senza capirci più nulla: "Ma quegli ammazzasette non ce l'avevano con voi perché dalla terra tirate fuori patate anziché pepite?". O'Connor si fece una risata: "Già, ed è vero anche questo. Poco più di un anno e mezzo fa venni qui per fotografare la vita delle piccole boom-town che crescevano in queste valli intorno ai filoni auriferi e carboniferi. Il posto mi piacque tanto che non appena incassai i diritti per le mie fotografie, venni qui, acquistai un pezzo di terra e mi misi a fare il contadino". Mc Thierman sembrò arrabbiarsi: "Sapete, O'Connor, per quelle poche volte che ho visto una macchina fotografica, posso dirvi che fare il fotografo mi sarebbe sempre un po' piaciuto. La macchina è come una pistola, fredda le persone nelle loro azioni. Mi ha sempre emozionato fin da ragazzo l'idea di girare il mondo immortalando battaglie, scontri, luoghi bellissimi e gente strana. E ora voi mi venite a dire che avete rinunciato a questa vita per mettervi a zappare la terra? Mi vien voglia di riappendervi io a quell'albero! E magari mi verrete a dire che vi siete anche sposato!". A sentire quest'ultima frase, O'Connor, che aveva riso per tutto il monologo di McThierman, divenne all'improvviso serio: "Cosa?! Sposarmi? Ohé, scozzese, non scherzerai mica, spero! Iddio mi ha creato libero, e libero voglio continuare a vivere. Non ho intenzione di farmi prendere a nessun laccio, io! Le donne non sono altro che una fonte di guai!". A sentire questo sfogo di misoginia, Mc Thierman si rallegrò d'un colpo, e disse: "Sai, irlandese, penso che noi due diventeremo buoni amici!". Seguì un attimo di silenzio, poi tutti e tre scoppiarono in una fragorosa risata che durò alcuni buoni minuti. Dopodiché, tutti e tre, presero la strada per Colorado Springs, spronando i cavalli al trotto spedito. Arrivarono in città verso l'imbrunire. Nonostante l'ora, e il fatto che la cittadina fosse molto piccola, la vita nella main street era ancora intensa e frenetica. "Beh, irlandese", fece McThierman, "Penso che dovrai invitarci a cena a casa tua!". Il volto di O'Connor si rabbuiò di colpo. Come con un peso in fondo al cuore, disse amaro: "No, John, temo che questo non sia possibile. La mia casa oramai sarà ridotta ad un cumulo di macerie fumanti". L'espressione di Mc Thierman divenne dura e minacciosa: "Sono stati quei bastardi, vero?". "Già", fece Mike cupo, "Arrivarono a casa mia e diedero fuoco a tutto: la casa, il magazzino, la stalla, i campi... E poi mi trascinarono dietro a loro fino a quell'albero, e... beh, e poi siete arrivati voi due!". "Maledizione!" tuonò Mc Tierman "E la gente in paese non fa nulla per questo?". O'Connor parlò con un tono sconsolato e rassegnato: "E cosa volete che facciano, John? Hanno paura, e li capisco... Quelli sono gente che non scherza, quelli fanno sul serio, l'avete visto anche voi!". "Dannazione, sempre la solita storia! Vigliaccheria ed omertà! Nessuno vede mai nulla, nessuno sente niente, nessuno parla. Il solito dannato branco di conigli senza un briciolo di fegato!". "Cercate di capirli" fece Mike "Loro non sono come voi. Molti di essi non sanno neppure impugnare una pistola o un fucile. Sono tutta brava gente, commercianti, contadini, e loro qui, al contrario di voi, ci devono vivere. Si fa presto a chiamarli conigli, quando voi potete prendere qualcuno di quei sicari a pistolettate e poi andarvene. Ma questa gente qui ha famiglia, ha la sua vita, e non può perderla per un assurdo atto di insulso eroismo!". Mc Thierman fece una faccia schifata: "Tutte belle parole, Mike, ma che non cambiano la sostanza dei fatti. Io non ho studiato molto e non sono uno di quei professoroni che insegnano storia nelle università dell'Est, ma quel che so è che se un manipolo di gente l'avesse pensata come questi vigliacchi invece di radunarsi intorno a un generale di nome Washington, ora non saremmo qui liberi a parlare, ma passeremmo il nostro tempo a scappellarci ogni volta che sentiamo il nome del re. E se dalle mie parti, un pugno di uomini avesse avuto paura di ritorsioni e non si fosse rinchiuso entro le quattro mura di un monastero abbandonato ad Alamo contro un esercito di oltre settemila soldati, io non sarei qui a parlarvi e non vi avrei mai salvato la vita, perché probabilmente starei a spaccarmi la schiena su dei campi per riempire i granai di qualche grasso e lussurioso governatore messicano. E' questa la vera libertà: impedire ciò che non è giusto e mettere una buon parola per ciò che è giusto. E questo è bene. Nascondersi dietro una finestra per non vedere, tapparsi le orecchie per non sentire, mordersi la lingua per non parlare, questo è tanto da punire quanto il misfatto stesso, perché è una complicità schifosa, subdola, vigliacca e trabordante di codardìa. E questo è male. Ed è questo il fatto: il bene ed il male esistono, e bisogna fare l'uno o l'altro. Se fai del bene, sei vivo. Se fai del male, puoi anche camminare ma sei morto senza saperlo!". Un lungo silenzio seguì alle parole di Mc Thierman. Poi prese la parola Mike l'irlandese: "Accidenti scozzese! Si fa tanto parlare di Mc Thierman il pistolero, ma John Douglas Mc Thierman è un vero filosofo, ed ha un fine cervello!". "Il che non guasta mai!" fece John. "E ora, che intendete fare?" chiese O'Connor. Mc Thierman lo guardò dritto, poi gli rispose: "Beh, a questo penseremo domani. Ora andiamo a mangiare, perché ho fame!". Si recarono a cena in un saloon dall'aspetto più decente degli altri. Si sedettero a tavola, ed ordinarono un pasto molto abbndante per tutti e tre. Alla fine del desinare si fecero portare tre whisky. Ma a servirglieli, invece del solito cameriere, fu un ometto basso e piuttosto tarchiato, vestito con eleganza e dai modi untuosi e servili. Egli prese una sedia da un tavolo accanto e si accomodò senza invito. Con un tono di voce pietosamente mieloso si rivolse ai tre: "SIgnori, mi dispiace, ma devo affrontare un argomento spiacevole. Come sapete, il mio è l'unico albergo con camere del paese, e se aveste intenzione di passare la notte presso di noi dovrei farvi una richiesta. Sapete, le notizie da noi corrono molto svelte, e... Il signor O'Connor è un nostro affezionato cliente, è conosciuto e può fermarsi a dormire se lo desidera, e anche il ragazzo, ma, vedete signor Mc Thierman... voi... ecco, vedete, ci sono delle persone in paese che... come dire... potrebbero avercela, in qualche modo, con voi, e, sapete, il mio albergo mi è costato un mucchio di soldi, e la clientela... sapete... ". Mc Thierman, schifato e nauseato, interruppe il balbettio viscido di quell'omuncolo: "Basta così, specie di pinguino impomatato! Io non ho mai detto di voler passare la notte nella tua stamberga. Se hai paura che qualche proiettile possa rovinarti i tuoi preziosi specchi inglesi o i tuoi lampadari francesi, dormi tranquillo stanotte, perché non mi avrai come cliente. Ma ora mi stai rovinando la digestione, quindi levati dai piedi, e non farti più vedere, verme pusillanime da quattro soldi!". Il proprietario dell' albergo ebbe un piccolo sussulto, e, alzatosi in piedi, abbandonando il suo tono mieloso, rispose con una vocetta gracchiante e acuta: "Signore! Forse io non sarò un pistolero come lo siete e voi, ma ho un albergo di tutto rispetto ed è nei miei diritti tutelare la mia proprietà! E voi non avete il diritto...". Mc Thierman l'interruppe bruscamente: "Non ho il diritto di fare cosa, pagliaccio? Di chiamarti schifoso verme pusillanime? Nossignore, bamboccio incravattato! Io chiamo sempre le cose con il loro nome, e questo è quanto sei tu, un pusilanime vigliacco e codardo. La tua sola vista mi fa ribrezzo, perciò levati dai piedi! Te l'ho già detto una volta, e non sono abituato a ripetermi!", e detto questo, sferrò un poderoso calcio nel pancione molle dell'albergatore, che volò gambe all'aria rovesciando due tavoli e tutte le sedie. Al fracasso fece eco un brusio fra i clienti del locale i quali si alzarono piano piano, e cominciarono a prendersela con Mc Thierman. John a questo punto si alzò in piedi, e si mise davanti a loro: "Ma certo! Ecco la rivolta generale! Correte a nascondervi quando vi dispotizzano e spadroneggiano all'interno della vostra comunità, ma quando potete essere in tanti contro uno solo, allora siete capaci di fare la voce grossa! Bravi, signori, questo si chiama coraggio!" . Un bestione di oltre due metri si fece largo fra gli altri, e parlò ad alta voce: "Ma chi vi credete di essere? Un eroe? Il padrone del saloon ha ragione: con che diritto potete chiamarci vili? Solo perché vogliamo salvare le nostre case, le nostre famiglie, le nostre vite? Voi non avete il diritto di chiamarci vigliacchi, perché non lo siamo!". Mc Thierman parlò con la rabbia nella voce: "E cos'altro sareste? Siete un orrendo branco di pecore! Tutti insieme siete capaci di fare la voce grossa, ma uno alla volta correreste a nascondervi sotto i tavoli al mio passaggio. E preferite fare gruppo tutti contro di me, solo, che sono dalla vostra parte in qualche modo, piuttosto che prendervela con chi vi spadroneggia ed unirvi per cacciarli. Siete davvero un branco di pecore. Non valete nulla da soli, e valete niente anche come gruppo". Furioso, il gigante che aveva parlato si fece avanti: "Ti rimangerai quello che hai detto!", e così dicendo cercò di sferrare un gancio di destro con tutta la sua forza a Mc Thierman. Ma questi fu più veloce e lo schivò piegandosi di lato; poi, approfittando dello sbilanciamento dell'avversario, lo colse di sinistro allo stomaco mozzandogli il fiato. Poi lo stordì con un uppercutt al mento, e con un poderoso diretto che probabilmente gli spaccò qualche osso della faccia lo mandò al tappeto fracassando con il suo peso il bancone del saloon sul quale si aprì un grossa breccia che lo divise in due. Poi Mc Thierman riprese la parola con gli altri astanti: "Era più grosso di me di tutta la testa e si sentiva forte, per questo ha trovato in fondo a sé quel tanto di coraggio per affrontarmi. E guardate che fine ha fatto. Ve l'ho detto: non valete nulla come uomini. Siete solo dei vermi, che meriterebbero di essere calpestati solo per lo schifo che suscitate!". Facendosi largo a spintoni fra la piccola folla, John guadagnò la porta e fece per uscire. Ma un grido di Matt lo mise in allarme. Voltandosi, si piegò sulle ginocchia e non appena il suo volto guardò la folla la sua pistola, già in mano, fece fuoco. Il proiettile trapassò il polso destro di uno dei presenti, che aveva cercato di sparare a Mc Thierman, fracassandogli l'avambraccio. Riponendo la pistola nel fodero, disse duramente: "Che schifo! Persino giungere a spararmi alla schiena! E pensare che non sareste capaci di alzare un dito sui vostri aguzzini! Balordi!", e poi, rivolto a chi gli aveva sparato: "E tu, coraggioso ed impavido guerriero, ti saresti sentito di più un uomo se fossi riusito ad uccidermi sparandomi alle spalle? Meriteresti che ti facessi ingoiare la dentiera a calci con il tacco degli stivali, ma già così ridotto non riuscirai nemmeno a congiungere le mani per pregare il prossimo uomo che incontrerai di non farti del male". Senza aggiungere altro, con il volto di marmo e una profonda amarezza nella voce, Mc Thierman uscì dal locale. Sciolse le redini del suo cavallo, e si recò fino allo stallaggio all'inizio del paese. Il vecchietto che gestiva la scuderia aprì le porte prima che John potesse bussare. Con una voce resa roca dagli anni ma ancora vispa, il vecchietto accolse il cowboy: "Ehilà, che fuochi d'arificio! Li avete spaventati un po', quei quattro pecoroni giù in paese, eh signore?". John sorrise a sentire il vecchietto: "Ehi, vecchio, dal tuo accento non si direbbe che sei di queste parti, vero?". Lo stalliere gli rispose, sibilando fra la dentiera traballante: "Dal tuo accento direi che sono delle tue stesse parti, cowboy. Sono Texano purosangue, nato sulle rive del Rio Bravo e cresciuto sempre in mezzo a cavalli, vacche e Cheyenne. E tu che mi dici, figliolo? Anche tu sei figlio della Stella Solitaria?". Mc Thierman rise di gusto: "Beh, io forse non sono nato sulle sponde del Rio Bravo, ma in quanto a cavalli e Cheyenne, credo che possiamo avere conoscenze comuni!". "Eh, Eh... Credo di si!" sibilò fra i denti finti il vecchietto ridendo, "Credo di sì!". "Senti, vecchio" fece John "Non avresti anche da dormire per me, oltre che per il mio cavallo?". Il vecchietto sorrise: "Hai paura che il letto dell'albergo in paese puzzi di vigliacco, vero? Beh, cowboy, se ti accontenti di un mucchio di paglia come materasso, di spazio ce n'é tanto. Vieni dentro!". Mc Thierman affidò il cavallo allo stalliere che lo accudì amorevolmente fornendogli fieno, avena ed acqa fresca. Poi tornò da Mc Thierman, che frattanto si era seduto dentro il ripostiglio che fungeva da appartamento per il vecchio. "Beh, visto che ti sei già seduto", fece lo stalliere, "Non posso certo venir meno ai doveri della famosa ospitalità Texana rifiutandoti da bere!". E così tirò fuori da sotto il letto una bottiglia di robusto whisky d'annata. "Puro nettare del Tennesee! Dieci anni in botti di rovere!" fece con la sua voce gracchiante il vecchietto. "Beh", fece John, "Giacché di qualcosa bisogna morire, avveleniamoci con questo nettare!". "Ih, Ih" se la rise sibilando fra la dentiera il vecchio stalliere, "Eh, sì, avveleniamoci pure! Ih, Ih!", e versò da bere riempiendo abbondantemente due tazze di latta. Si scolarono entrambi il bourbon, poi il vecchietto riprese a parlare: "Ehi, cowboy, non ho ancora sentito il tuo nome, mi pare...". "Mi chiamano John" disse Mc Thierman, "E il tuo nome, vecchio?". "Ehi, brutto impertinente!" fece lo stalliere, "La vuoi smettere di chiamarmi vecchio? Qui tutti mi chiamano Stanley lo stalliere". "Ok, Stanley. Ti chiamerò anch'io così, se ti va bene". "Nossignore!" sibilò fra i denti finti Stanley, "Non mi va affatto bene. Gli amici mi chiamano Stan, e tu, John, tu hai bevuto con me, e quindi sei mio amico". "E va bene" fece rassegnato John, "Ti chiamerò Stan. Ma tu, oltre ad aver bevuto con me, hai bevuto anche da solo, però. Senti, Stan, forse è meglio che ti stendi. Io farò altrettanto, di là sul fieno. E ce ne andiamo a dormire tutti e due, eh?". "Sì" acconsentì Stan, "Si, forse è meglio!". Alzatosi barcollando dalla sedia, crollò con un forte tonfo sul materasso e iniziò immediatamente a russare con un ronfìo assordante. John uscì nella stalla, slegò la coperta dalla sua sella, si sdraiò sul fieno coprendosi, e si addormentò presto. L'indomani mattina si svegliò con nel naso un forte profumo di caffé e pancetta fritta. Si alzò dal fieno e si sciacquò la faccia in una grossa botte piena d'acqua gelida. Poi cercò Stan per tutta la scuderia, finché non lo trovò in un cortiletto sul retro della stalla armeggiando intorno ad un fuoco intento a friggere uova e pancetta mentre la caffettiera mandava un ottimo odore. "Ehi! Buongiorno!" fece Stan con la sua voce gracchiante, "Il signore ha il sonno pesante stamane, vero? Ih, Ih!". John si sedette accanto al fuoco e si versò una tazza di caffé bollente. "Non si direbbe quasi che tu abbia bevuto ieri sera, Stan!" fece Mc Thierman. "Bere?" bracchiò lo stalliere, "Ih, Ih! Ci vuole altro per ubriacarmi, a me!". E detto questo, scodellò le uova e la pancetta in un piattello di stagno che porse a John. Stava per porgergli anche un cucchiaio, quando vide che il cowboy aveva già iniziato a mangiare con la lama del suo coltello, e lasciò perdere. Finita la colazione, i due si alzarono e John si diresse verso la porta che dava sulla strada. "Te ne vai già, Cowboy?" chiese con quella voce sibilante il vecchio. "Tornerò a prendermi il cavallo. Metti in conto anche la colazione, vecchio!". E mentre Stan se la rideva gracidando, John uscì sulla strada e scese in paese dirigendo verso l'albergo dove aveva lasciato Matt e l'irlandese. Le strade, quasi vuote, erano sporadicamente attraversate da qualche individuo isolato, primi segnali del risveglio della città. Da qualche camino cominciava ad uscire qualche rivolo di fumo, mentre il maniscalco iniziava il primo martellìo metallico sull'incudine. Mc Thierman giunse sin davanti all'edificio dell'albergo, quando gli si pararono davanti tre tizi a cavallo. D'istinto si girò di scatto a guardarsi intorno, e vide altri due uomini che si erano messi alla sua sinistra e altri tre si stavano schierando alle sue spalle. A destra aveva il portico, e dietro e il finestrone della sala dell'albergo: era completamente circondato. Gli uomini che gli stavano intorno non sembravano aver fretta, e solleticavano le armi con nervosismo con sui volti stampati dei ghigni malefici, tutti tragicamente uguali e ugualmente spietati. Mc Thierman era un macigno, freddo come una lastra di ghiaccio e pronto ad ogni mossa. Quando, d'improvviso, sentì due voci che riconobbe immediatamente: quella di Matt e quella del fucile del ragazzo. Mentre sparava due colpi abbattendo uno dei gaglioffi e tirando giù il cavallo di un secondo fra quelli che avevano circondato Mc Thierman, Matt urlava: "La finestra, John!", ma, prima ancora che finisse le parole, Mc Thierman con un balzo era già saltato sull'abbeveratoio dei cavalli e da lì sulla sbarra davanti al portico, e con un salto era volato attraverso il finestrone di vetri colorati. Un rumore assordante di vetri rotti accompagnò lo scenografico brillìo della miriade di frammenti che volteggiavano nell'aria, mentre John, circondato dal turbinìo della valanga di proiettili sparatigli contro che lo sfioravano pericolosamente, atterrava su di un tavolo, mandandolo all'aria con tutto quello che vi stava sopra, carte da giuoco, bicchieri e bottiglie, e piombava sul pavimento al riparo dietro al piano del tavolo. Senza perdere un solo secondo, estrasse le pistole, e sporgendosi dal suo riparo prese a sparare. In rapida sequenza sparò due colpi, e due degli scagnozzi caddero da cavallo mentre un altro veniva ammazzato dal tiro del fucile di Matt. Accortisi che gli avversari stavano sparando nel mucchio, i sicari si gettarono da cavallo, e usando gli animali come scudo, si ritirarono a sparare da dietro i portici e gli angoli delle case lì intorno. In quegli attimi in cui i killers non sparavano, Mike l'irlandese arrivò dietro al tavolo vicino a Mc Thierman con una pistola in mano. "Che ci fate qui, Mike?" urlò John, "Siete un fotografo, lasciate queste cose a noi del mestiere! Andate via!". L'irlandese protestò: "Beh, non dev'esser tanto difficile! Sparare è un po' come scattare una fotografia: inquadro il soggetto nel mirino, e scatto!". John lo guardò storto, poi gli prese la mano che impugnava la pistola e con le dita gli mostrò come alzare il cane della pistola. Poi disse: "Qualunque cosa accada, tenete sempre quell'affare puntato verso i nemici, mi sono spiegato?". Mike non ebbe tempo di rispondere, perché sul tavolo sopra di loro riprese una gragnuola di colpi che ne smaciullò tutto il bordo. Mc Thierman e Mike si lanciarono un occhiata d'intesa, poi, come un sol uomo, si alzarono girandosi, e presero a sparare un fuoco infernale. Mike, per quanto ci provasse, non ne beccava uno, ma faceva rumore, e questo fungeva da fuoco di copertura a John. Colpirli toccava a Mc Thierman. Due dei sicari stavano cercando di attraversare la strada sotto la copertura dei loro compagni, un micidiale colpo di Mc Thierman arrestòla corsa di uno di loro per sempre, mentre all'altro il cranio veniva letteralmente trapassato da un colpo del fucile di Matt, con una raccapricciante fontana di cervella e sangue che accompagnava la parabola della pallottola. Un altro si era nascosto dietro un abbeveratoio per cavalli, e venne raggiunto da un altro proiettile del fucile di Matt. Sempre Matt freddò con un colpo fantastico anche uno che stava correndo per cambiare posizione attraverso una strada in lontananza. Con altri tre colpi, frattanto, Mc Thierman ne aveva fatti fuori due nascosti dietro i pilastri del porticato di una casa lì di fronte, e un terzo, che si era arrampicato sul balcone soprastante, lo abbatteva in quel momento. Poi, tutto tacque. La buriana pareva finita. Con prudenza, John e Mike si alzarono da dietro al tavolo, mentre Matt uscì sul portico da dietro la porta, dove si era barricato per tutta la battaglia. Mc Thierman, sempre con le pistole in mano, uscì sul porticato scavalcando il davanzale dell' ex finestra, seguito da Mike. Quando furono tutti e tre fuori, osservarono la strada dalla quale si stava diradando la polvere e il fumo degli spari: sembrava un vero campo di battaglia, i morti erano sparpagliati ovunque e in ogni orrenda posizione, un terrificante spettacolo simbolo di un lugubre trionfo. Mike, sollevò pietosamente gli occhi a guardare il blu del cielo. Ma, nel farlo, notò sul balcone della casa di fronte uno degli scagnozzi che con la pistola puntata, mirava a Mc Thierman. Di scatto, alzò la pistola, e urlando: "Occhio John!" sparò un colpo. Mc Thierman reagì fulmineo come sempre, ma prima ancora che premesse il grilletto, vide l'uomo barcollare, quindi rovinare sulla ringhiera fracassandola e con un volo di alcuni metri piombare con un tonfo sordo a terra. Il pistolero guardò stupito l'irlandese: "Mike, avete sparato voi?!". Allibito lui stesso, Mike si guardò in mano la pistola fumante, quindi farfugliò: "Io... beh, accidenti, penso proprio di sì!". "Diamine, Irlandese!" fece John, "I miei complimenti! Davvero un gran bel tiro!". Matt, con un tono irritato nella voce, avvertì i due: "Attenzione. Forse ce n'é ancora qualcuno!". "Quando mi stavano attorno, io ne avevo contati otto" disse John. "Otto!" fece Matt, "Accidenti, John, siete scampato ad un attentato di otto sicari che vi stavano attorno a quella distanza! C'é di che vantarsene! Certo, devono reputarvi molto pericoloso, se tutto per voi hanno mandato questo piccolo manipolo!". "Già" fece John, "Ma io qua ne conto sette, otto se tengo presente anche quello che ho fatto secco prima sul balcone, in più ci sono quello che ha appena ammazzato Mike e uno che hai ammazzato tu prima in fondo alla strada, e sono dieci. Quindi ce ne potrebbero essere ancora. Come un undicesimo, ad esempio". Per tutta risposta in lontanaza sentirono il rumore d'un cavallo al galoppo, incitato ad un forsennato ventre a terra. Era l'undicesimo che scappava. Matt alzò il fucile, puntò accuratamente e fece fuoco. Un istante dopo, il fuggitivo lo si vedeva portarsi una mano alla spalla, ma rimaneva in sella. Matt lanciò una colorita bestemmia. "Dannazione!" urlò il ragazzo, "Adesso scapperà quel bastardo!". Mc Thierman gli strappò in fretta il fucile dalle mani, e lo puntò. "Ma che volete fare?!" gridò Matt, "Non ci potrete mai riuscire, ormai è fuori tiro! Saranno quasi trecento metri!". Senza curarsi delle proteste, Mc Thierman, tenendo la canna alzata rispetto al bersaglio, mirò per un lunghissimo secondo, dopodiché lasciò partire il colpo. Dopo un istante che parve un eternità, il proiettile giunse al termine della sua gittata terminando la sua parabola, ed il cavallo del bandito stramazzò al suolo, facendo piombare il cavaliere fra la polvere. Lo stupore dei due amici di Mc Thierman era fin troppo visibile. Matt strabuzzò gli occhi, poi gridò: "Accidenti che tiro! Mai visto nulla di simile! A trecento metri, roba da non credersi!". "Ho tirato al cavallo perché lo volevo vivo!" si schermì John, "E poi tirare al cavallo è sempre meglio, perché è il bersaglio più grosso. Ora trovatene uno tu, e va' a recuperare quel bastardo". Matt corse a recuperare uno dei cavalli dei sicari che vagavano lì attorno e partì al galoppo per raggiungere il bandito. Solo a quel punto Mike si accorse di una ferita sopra al ginocchio sinistro di Mc Thierman: "John, siete ferito!" disse indicando la gamba. Mc Thierman, che nella foga della battaglia non si era neppure reso conto, si guardò la gamba. "Oh, roba da niente" disse poi, "E' solo un graffio, basterà un po' di whisky". Mike lo guardò meglio, e notò due altre ferite all'avambraccio destro e al fianco sempre a destra. "John, avete altri due dei vostri graffi! Guardatevi meglio! Sembrate una carta geografica, con tutte le chiazze di sangue che avete addosso!". Mc Thierman osservò anche le lacerazioni sulla destra, ma concluse: "Sono tutti graffietti! Nulla di serio, Mike. Non si può certo sperare di uscire completamente indenni da uno scontro contro quindici uomini!". L'irlandese rimase allibito: "Ma non dite stupidaggini! Anche se superficiali, sono sempre dei bei tagli, e potrebbero infettarsi! Avanti, venite dentro che vediamo di disinfettare quella roba con del sano whisky!". Borbottando per scherzo qualcosa di protesta sullo spreco del buon whisky come disinfettante, Mc Thierman si lasciò accompagnare all'interno del saloon per farsi medicare. Poco dopo Matt ritornava con il suo prigioniero legato, tirandolo da in sella al cavallo con una corda. Entrò nel saloon spingendo violentemente la sua preda attraverso le porte a molla, e rimase stupito nel vedere la scena. Mc Thierman stava seduto ad uno sgabello, a torso nudo, con la gamba sinistra appoggiata ad una sedia ed i pantaloni lacerati fino all'altezza del ginocchio, e Mike l'irlandese si stava prodigando nel disinfettare il taglio alla gamba e le due ferite al braccio destro e al fianco destro all'altezza delle costole. Frattanto John si stava scolando una bottiglia di Bourbon per disinfettare eventuali ferite alle budella. Non appena Mc Thierman vide Matt entrare con il prigioniero, posò la bottiglia e con un cenno ordinò a Mike di piantarla con le medicazioni. Quando ebbe la possibilità di guardare bene in faccia il bottino di Matt, la faccia di John assunse una drammatica espressione truce. Era lo stesso piccoletto dai capelli grigi che il giorno prima aveva cercato di impiccare l'irlandese. Con un tono sdegnante, Mc Thierman fece al fotografo: "Ehi, Mike, guardate chi abbiamo qui!". Matt con uno spintone scaraventò avanti il piccoletto che cadde in ginocchio davanti ai due, tenendosi una mano premuta sulla spalla ferita e con un espressione di estrema sofferenza in volto. L'irlandese guardò dritto in faccia l'uomo, poi non riuscì a trattenersi e con un sommo disprezzo gli sputò in faccia. Parlando amaramente e con l'odio nella voce, disse a John: "Scozzese, l'uomo che ieri hai lasciato andare via è il mandante di tutti i soprusi in questa valle. Oggi ti si ripresenta davanti. Se il tuo spirito è voler fare giustizia, è estirpando lui che estirperai la malvagità da Colorado Springs!". Mc Thierman prese la parola, rivolto all'ometto brizzolato: "E dunque tu, piccolo omuncolo, saresti il capoccia della crecca che teneva sotto scacco i polentoni di questo straccio di paese? Certo, da parte di uno che ha bisogno di sei uomini per impiccare un fotografo disarmato, perché questo è l'unico che ha trovato il coraggio di opporsi a te... Mi viene da vomitare a pensare che i vermi che abitano da queste parti hanno avuto paura di un mollaccione come te! Meriteresti di essere lasciato in vita solo per vedere, quando ti metteranno di fronte al paese, chi morirà prima di paura, se tu da solo o loro tutti insieme. Ma ti avevo avvertito di non incrociare più la mia strada. Credevi che reclutando questo piccolo manipolo di coscritti avresti risolto il problema?" - si alzò in piedi - "Beh, ti è andata male! E io non ripeto mai i miei avvertimenti!". Mc Thierman, ora in piedi, con tutta la sua statuaria imponenza sovrastava tutti all'interno del saloon, e la sua figura, per via della luce sulla pelle abbronzata con il sangue che colava dalle ferite, aveva un che di spettrale. Proprio in quell'istante, dalla porta entrava un uomo alto e dinoccolato, vestito di una tonaca nera. Non appena vide la scena, corse vicino all'uomo inginocchiato, e parlò a John: "Signore, fermatevi!" disse con una vocine flebile ma ferma nel tono, "Mi hanno detto chi siete, e fuori c'é ancora la testimonianza di quello che avete fatto. Io vi ringrazio di tutto cuore per avere liberato la nostra piccola città dalle forze del male, ma ora deponete la vostra spada di morte. Lasciate che quest'uomo sia consegnato alla giustizia. E se sarà deciso che egli dovrà morire per le sue colpe, perdonatelo ugualmente, perché egli è soltanto un povero di spirito!". Mc Thierman guardò il prete con un' occhiata fredda come il vento del nord. Poi con una voce dura e affilata quanto l'acciaio della lama di un coltello , rispose: "Padre, da bambino andavo in chiesa. Non conosco la Bibbia come voi, ma so che da qualche parte c'é scritto: Beati i poveri di spirito, perché di essi è il Regno dei Cieli!". Pronunciata questa frase, con tutta la sua mole imponente Mc Thierman sferrò un poderoso calcio in faccia all'uomo che era inginocchiato ai suoi piedi, colpendolo in pieno viso col tacco dello stivale. Uno scricchiolìo secco come lo spezzarsi di un bastone indicò il fratturarsi netto dell'osso della mascella. La testa dell'uomo ricadde esanime sul pavimento di legno rimbalzandovi gravemente. Mc Thierman disse ancora una cosa al prete ed alla piccola folla che si era affacciata dalle finestre e dalla porta: "Se è ancora vivo, consegnatelo alla giustizia che volete. Il mio compito qui è finito. E' ora di andare a respirare aria pulita!". Detto questo, uscì in strada. Fuori dal Saloon, trovò il vecchio Stan che teneva i loro tre cavalli strigliati, sellati e con i finimenti ingrassati. Sibilando fra la dentiera, disse a John: "Ho pensato che te ne saresti voluto andare al più presto. I cavalli sono puliti e le briglie ingrassate. Nelle bisacce troverai alcune scatole di proiettili, del lardo e della carne secca, gallette e caffé". Porse loro così le redini dei cavalli. Poi tirò fuori da dietro la schiena anche una camicia, e la diede a Mc Thierman: "Vedendo la sparatoria, ho pensato che ne avresti avuto bisogno di una nuova!", fece una pausa, "E non azzardarti a voler pagare! E' il minimo che posso regalarti, dopo che hai liberato questa città e hai dato una severa lezione ai conigli che ci vivono!". John si mise a ridere: "Beh, grazie di tutto allora, Stan! Ma avanti, perché non vieni con noi. L'Arizona non è così lontana dal tuo... dal nostro Texas!". Il vecchietto scosse la testa ridacchiando gracidamente: "No, no! Sono troppo vecchio ormai. Salutamelo tu il Texas, quando ci ritornerai!". John indossò la camicia, e montò in sella. Poi, dall'alto del cavallo, disse: "Adiòs, Vecchio. Te lo saluto io, il tuo Texas, è una promessa!". Poi, rivolto ai suoi due compagni, che nel frattempo erano montati insieme a lui: "Allora, Mike, hai deciso di venire con noi?". "Dannazione", rispose l'irlandese, "Ormai non ho neppure più una casa... L'unica cosa che mi resta da fare è di seguire un pazzo, per giunta scozzese!". Matt scoppiò in una fragorosa risata: "John, posso dirvelo? Se siete pazzo, siete davvero il pazzo più incredibile che abbia mai conosciuto!". Mc Thierman si arrabbiò: "La vogliamo piantare con queste stupidaggini? Andiamo, l' Arizona è laggiù che ci aspetta!". Partirono tutti e tre al galoppo leggero. Oltre la fine del paese, oltre lo sbocco della valle, tornarono a respirare l'aria della prateria. E laggiù, verso il mattino, l' Arizona li attendeva.

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Il Cowboy

L'erba alta della prateria era scossa da un forte vento freddo. Un uomo, ritto sul suo cavallo, dall'alto di una collina osservava la pianura davanti a lui, le alte sterpaglie che ondulavano al vento come un mare in tempesta. L'aria quasi gli penetrava sotto lo spolverino, mentre la tesa del cappello cedeva all'impeto dell'aria e si piegava all'insù. La criniera lunga del mustang sbandierava nobile al vento, ed il destriero manteneva il suo aspetto trasognato ed assente rimirando la distesa davanti a se come il suo cavaliere. Le nuvole, nel cielo, correvano veloci come un tappeto in movimento, lasciando passare i raggi del sole in colonne di luce che illuminavano ad isole le sterpaglie ondulanti. In lontananza, un enorme macchia scura si estendeva sino a perdita d'occhio. Un'enorme mandria di bisonti, grande come non se ne vedevano più da anni, una delle poche dopo i tracciati delle ferrovie. Il cowboy alfine si decise, e spronò il cavallo in avanti, giù dalla collina, avanzando con prudenza.

Meno di un'ora più tardi, l'ambiente era cambiato. Aveva lasciato il cavallo nascosto in un canalone, e si era avventurato strisciando fra l'erba alta. Il cavallo si era innervosito, e lui aveva notato un uccello della prateria prendere d'improvviso il volo, spaventato. Puzzava un po' troppo di indiani. Avanzò carponi con circospezione verso dove aveva notato il movimento. Fu un attimo. Un indiano Shoshone spuntò d'improvviso dall'erba, con in viso i colori della caccia, e gli si fiondò addosso brandendo un grosso coltello. Il cowboy ebbe a malapena il tempo di parare il fendente, poi con l'altra mano, in un movimento svelto, lo allontanò da se con un portentoso pugno in faccia. Alzatosi in piedi, gli tirò un calcione in faccia, ferendolo alla tempia col tecco dello stivale, facendolo svenire. In un attimo altri sei shoshoni si alzarono come fantasmi dall'erba e cominciarono a correre urlanti verso di lui. Non perse tempo, e si fiondò a rotta di collo verso il luogo dove aveva lasciato il cavallo. Ad un certo punto, sulla cresta d'una piccola altura, si fermò e si voltò. Un istante dopo nelle sue mani apparvero due stupende Colt calibro 45, risultato d'un movimento impressionantemente veloce. Da ciascuna sparò un colpo. Quasi nello stesso istante, i due indiani che correvano in testa agli altri caddero con un buco aperto in petto. Ripose altrettanto rapidamente le pistole nelle fondine, e riprese a correre. Arrivato al cavallo, vi saltò in sella, e lo spronò in un ventre a terra sulla prateria. Sapeva che c'erano altri indiani in giro. Mentre correva all'impazzata, gli si pararono d'innanzi, spuntando dalle sterpaglie, altri quattro gallinacci brandendo l' arco e bersagliandolo di frecce. Ebbe appena il tempo di voltare il cavallo, e ripiegare sulla sinistra. Ma si alzò un altro gruppo di cinque, e dovette rivoltare il cavallo. Era praticamente circondato, con gli indiani tutt'intorno a un centinaio di metri. Non c'era altro da fare che rischiare il tutto per tutto. Spronò violentemente il cavallo lanciandolo in una corsa selvaggia, ed estrasse le sue pistole. Redini fra i denti, si chinò basso sul collo del cavallo e cominciò a sparare. Sparò due colpi, e altrettanti indiani ricaddero scomparendo fra l'erba. Passò in mezzo alla cortina di shoshones sparando altri tre colpi, e tre guerrieri in più raggiunsero le loro celesti praterie. Un colpo, un centro: era un asso ineguagliabile. Ne restavano otto, che non avrebbero tardato a raggiungere i loro cavalli ed inseguirlo. Voltò la bestia, e tornò alla carica. Questa volta fece scartare sulla destra il mustang prima di raggiungere gli indiani. Dopodiché, lasciandosi cadere di lato e tenendosi con le ginocchia al garrese, fece capolino con la testa e le pistole da sotto il collo del cavallo e sparando con la consueta micidiale precisione, ne caddero altri quattro. Superato il gruppo, mollò la presa sul garrese con le gambe, e si lasciò cadere in terra. Con un'agile capriola era in ginocchio, girato verso i guerrieri shoshones. Nello stesso istante, dalla sua colt di destra partì un'altro confetto calibro 45 che andò a conficcarsi nella fronte di uno dei quattro rimasti, aprendogli un terzo occhio fra gli altri due. Proprio mentre stava alzando la colt di sinistra per fare fuoco, una freccia lo raggiunse alla stessa spalla. Sentì entrare la punta nelle carni, e poi provò un dolore fortissimo. Fece per sparare all'arciere con la colt ancora saldamente impugnata nella destra, ma il cane scattò con un "click" metallico a vuoto sul tamburo: aveva finito i proiettili. Chiamò il cavallo con un lungo fischio, raccolse da terra la pistola che gli era caduta quando aveva perso la prensilità alla mano sinistra, e corse verso il destriero. Correndo a zig-zag evitò le frecce che si conficcavano in terra a meno di un metro da lui. Quando il cavallo lo raggiunse, eseguì un movimento fantastico. Mollò le pistole, con la destra estrasse con un ampio gesto il winchester dalla sella e contemporaneamente si voltò. Sempre col fucile in movimento in aria, lo spianò appoggiandosi all'avambraccio sinistro piegato e fece fuoco. Poi lo ricaricò facendolo volteggiare e azionando la leva dell'otturatore, si riappoggiò e fece ancora fuoco. Così caddero altri due indiani. Il terzo era ormai vicinissimo a lui, brandendo pericolosamente il tomahawk. Piroettando su se stesso, lo colpì al volto con la canna del fucile, e, sempre girando, lo ricaricò facendolo ancora volteggiare in aria. Poi lo spianò col braccio teso quasi in faccia all'indiano che era rimasto in piedi nonostante il colpo subito, e fece fuoco. Il volto del guerriero esplose orribilmente, e il corpo cedette di schianto sotto di lui, proiettandolo in avanti sotto la spinta della corsa come se da dietro qualcuno l'avesse spintonato. Finita la battaglia, il cowboy si sentì improvvisamente cedere le gambe sotto di se, e cadde gattoni, appoggiandosi a terra con la mano destra. La perdita di sangue era stata molto grande, e lo aveva enormemente debilitato. Ma doveva estrarre la freccia. Il cavallo si era avvicinato a lui. Egli si sedette in terra, e dovette farsi coraggio. Afferrò saldamente la freccia, la ferita gli doleva enormemente. Strinse i denti, e tirò con tutta la sua forza. Il dolore fu incredibile, il muscolo della spalla sembrò doverglisi staccare dal corpo. La parte larga della freccia riscavò dolorosamente nella parete interna della ferita, provocandogli un ondata incredibile di sofferenza. Ebbe solo la forza di scaraventare lontano la freccia, poi cadde svenuto. Il suo cavallo si chinò su di lui, e lo prese a leccare affettuosamente.

Al suo risveglio si sentì molto disorientato. Si trovava in un posto buio, ma caldo, con una forte puzza di stantio, sudore e fumo. Non aveva più la camicia addosso, e a torso nudo stava in un piacevole tepore sotto una coperta di folta pelliccia di bisonte. A mano a mano che i suoi occhi si abituarono all'oscurità, si guardò in torno. Riconobbe di trovarsi in un tepee indiano. Sulla brace al centro della tenda alcune foglie aromatiche bagnate inondavano l'ambiente di un fumo dall'odore acre. La spalla non gli doleva, ma provava una sensazione come di fastidio, di insensibilità. Su di essa era stato applicato un impacco di muschio con degli unguenti maleodoranti, ma aveva avuto un effetto positivo. Non si sentiva neppure troppo debole, e fece per alzarsi sui gomiti. In quel momento l'entrata del tepee s'aperse ed entrò una figura che, appena lo vide alzarsi, lo spinse giù a ricoricarsi. Sul suo petto si appoggiarono due mani calde, lunghe ed affusolate. Guardò in viso la persona, e vide un bellissimo volto femminile. Era una ragazza indiana, giovane e bellissima, dai lineamenti esotici e misteriosi e la pelle sontuosamente ambrata dai riflessi ramati. Una di quelle due mani sollevò il muschio dalla spalla e controllò la ferita. Poi, ripose con cura quella fasciatura naturale, e prese una ciotola da dietro la testa dell'uomo. Con una mano dietro la nuca lo aiutò delicatamente a sollevare la testa, e gli portò alle labbra la ciotola. Era acqua fresca. Ne bevve molta, poi lei gli scostò la ciotola dalle labbra e riappoggiò con delicatezza la testa in terra. Sentì un fruscio. La pelle che copriva l'entrata era stata discostata un'altra volta, ed era entrata una figura chiaramente maschile. Pur non riuscendo ancora a vederlo bene in faccia, notò la mole imponente del guerriero, i capelli raccolti in due trecce che scendevano lungo le spalle sul petto, sul torace portava una corazza leggera di stecche di legno, e su di essa pendeva una piccola borsetta in pelle. Quando gli occhi si abituarono anche al buio della parte della tenda dove il guerriero si era messo, riconobbe con piacere un volto familiare. Era Nuvola Bianca, capo di una delle tribù di Sioux Dakotas che durante le stagioni di caccia vivevano nelle grandi praterie. Guardò d'istinto l'avambraccio destro, e riconobbe la piccola cicatrice poco dietro il polso che portava anche lui quasi nello stesso punto: erano fratelli di sangue. "Ti saluto, fratello" pronunciò il cowboy in lingua sioux annacquata con un impercettibile accento del sud. La ragazza si stupì di sentir parlare nella sua lingua l'uomo bianco, e si ritrasse da lui. Poi, subito, tornò a recargli le sue amorevoli cure. "Salute a te, Due Fucili" rispose Nuvola Bianca; il cuore del cowboy si rallegrò a sentire il nome che gli era stato dato dai guerrieri della tribù la prima volta che l'avevano visto sparare con le due pistole. Nuvola Bianca continuò:"Il mio cuore si rallegra nel rivedere il mio fratello bianco". Con un gesto secco, ma che conteneva dell'affetto paterno, fece uscire la ragazza dalla tenda, e si inginocchiò a fianco del ferito. "La tua ferita non è grave, e mia figlia Piccola Luna ha voluto prendersi cura di te personalmente" disse appoggiando una mano sulla spalla sana di Due Fucili. Questo significava molto. Era un bel nome, Piccola Luna. Si compiacque ancora una volta della poesia che gli indiani imprimevano nel dare il nome ad ogni cosa e ad ogni persona. Il discorso con Nuvola Bianca continuò abbastanza a lungo. Il cowboy gli raccontò della circostanza in cui era stato ferito. Il capo rimase ad ascoltarlo con attenzione, e con fraterno affetto. Disse che poteva rimanere all'accampamento finché avrebbe voluto, e sarebbe stato accolto come un membro della tribù. Poi, salutato l'amico, uscì dal tepee e presto ritornò Piccola Luna. Era davvero bella, Due Fucili la guardò con attenzione. Lei si chinò su di lui, e tornò a occuparsi di lui. Era stanco, e fra le belle braccia della dolce ragazza, si addormentò.

I giorni passavano veloci, e Due Fucili riprendeva le forze in fretta. Il giorno dopo era già in piedi, due giorni dopo tornava ad esercitarsi a sparare anche con la sinistra, ed il terzo giorno fece una lunga cavalcata assieme a Nuvola Bianca. Anche da quando aveva smesso di necessitare cure, aveva ancora molto piacere nella compagnia di Piccola Luna. Ella si stupiva di come quel bianco parlasse tanto bene la sua lingua e conoscesse tanto accuratamente gli usi ed i costumi del suo popolo. Egli cacciava con i guerrieri della tribù, ed il suo aiuto dovuto alla sua mira infallibile tanto al fucile quanto alla pistola era apprezzato da tutti, che continuamente gli chiedevano di poter provare le due colt lucenti.

Egli gareggiava con i giovani tanto quanto si intratteneva al fuoco con gli anziani, raccontava storie ai bambini e passava molto tempo da solo. Era un tipo solitario, lo era sempre stato, ma da quando era in quel villaggio apprezzava sempre più avere al fianco la bella Piccola Luna. Era una ragazza sveglia ed attenta, forte e gaia, rideva con piacere ed obbediva agli ordini del padre. Aveva vent'anni, o forse poco più. L'ultima volta che l'aveva incontrata Due Fucili, ella aveva dodici anni, e lei si ricordava delle storie che lui le raccontava sulle grandi città dove vivono gli uomini bianchi. Una volta, mentre Due Fucili l'aiutava a prendere dell'acqua al fiume, si sdraiarono vicini per immergere gli otri, e lui le sfiorò le labbra. Lei sorrise dolcemente, poi raccolse le borse grondanti e corse via ridendo. Nuvola Bianca si era naturalmente accorto dell'interesse che suo fratello mostrava per sua figlia Piccola Luna, e un giorno lo prese da parte e gliene parlò. Gli rese conto della sua gioia nel vedere che suo fratello mostrasse tanto affetto per sua figlia, e gli disse chiaramente che lui sarebbe stato del tutto favorevole ad una loro unione in nozze. Era usanza per i mariti indiani "riscattare" la promessa sposa con un regalo per il padre da questi stabilito, di solito un prezzo in cavalli, ma Nuvola Bianca concesse a suo fratello di non dover pagare, dato il legame che li univa. In primis, Due Fucili ringraziò molto Nuvola Bianca, ma cercò di spiegargli le differenze che i bianchi avevano quando si trattava di donne, gli parlò dell'amore e chiese del tempo per pensarci su. Il capo capì perfettamente, ed acconsentì di buon grado. Un giorno, mentre Due Fucili stava sellando il suo cavallo per una passeggiata fuori del campo, arrivarono nel mezzo dell'accampamento due giovani guerrieri gridando di una mandria di cavalli non molto lontano. Era molto raro, mandrie di cavalli allo stato brado davvero non se ne vedevano più, da quelle parti. In un attimo uno stuolo di guerrieri si lanciò verso il recinto dei cavalli. Due Fucili Lanciò la sella in terra, prendendone solo il lazo, e saltò in groppa al cavallo montando a pelo, senza finimenti, guidandolo con le ginocchia come gli altri Sioux. Disse ad uno dei cacciatori di mostrargli dove fosse la mandria, e partì per primo assieme al giovane ragazzo. Raggiunsero in un attimo il branco. Era davvero un bel gruppo. I cavalli si snodavano in una forma lunga ed affusolata, e, sentiti arrivare gli intrusi, avevano preso a correre. Erano delle bestie stupende, ma più di tutte una. In testa, lo stallone capo-branco era uno stupendo mustang nero, possente, maestoso. Soltanto ad un cavallo poteva essere secondo, e quel cavallo era quello che montava Due Fucili. Era il momento di vedere chi era il migliore. Il bianco lanciò un grido, e poi lanciò il cavallo atterrito in una corsa pazza attraverso il branco. Superava tutti i cavalli, non si curava di quelli. Lui aveva in mente solo lo stallone nero. Questo aveva radunato attorno a se le sue giumente, e le guidava in una galoppata disperata. Era una corsa sulle ali del vento! Due fucili si sentiva l'aria fresca in faccia, fendeva il vento e volava attraverso la mandria. Esistevano ormai solo lui, sul suo superbo cavallo, e il mustang Nero, tutto il resto erano ombre che sfrecciavano ai suoi lati. Alla fine, superando il branco, galoppando più veloce d'ogni altro animale, raggiunse la testa. Lo stallone aveva lasciato le sue giumente, ed aveva preso a scappare sentendo la pressione del cacciatore su di se. La corsa era una gara senza fine, i cavalli erano ormai quasi affiancati. Il Mustang di tanto in tanto scartava, voltava, ma la risposta di Due Fucili era pronta, non lo mollava, era su di lui costante come la sua ombra. Ad un certo punto srotolò dalla corda il cappio, e lo allargò Poi lo fece roteare ampio su di se, finché non lo ebbe in tensione ed in circolo. Allora lo scagliò: la testa dello stallone si infilò precisa nel cappio, ed allo strattone il cavallo si impennò bruscamente. Avvicinatosi, l'esperto cavaliere approfittò del momento in cui ritornava con le zampe anteriori in terra per saltare dal suo cavallo in groppa al nero. Questo prese a combattere una lotta selvaggia. Sgroppò, scalciò, cercò in ogni guisa di scollarsi di groppa l'indesiderato ospite, ma a nulla valsero le sue bizze: come se fosse incollato, Due Fucili rimase sull'animale. Poi, dopo l'ennesima sgroppata, lo atterrì con un urlo di guerra, e lo spronò quasi a sangue. L'animale si mise a correre come forse non aveva mai fatto, fino a perderne la vista all'orizzonte. Dopo alcune ore furono di ritorno, al trotto leggero. Gli altri cacciatori della tribù erano arrivati, ed avevano catturato il resto del branco. Quando lo videro arrivare, gli corsero tutti intorno. Il ragazzino aveva raccontato a tutti quello che Due Fucili aveva fatto, e ormai era già leggenda, aveva domato lo spirito dello Stallone, il capo di uno dei più bei branchi che avessero attraversato quelle praterie. Al ritorno al villaggio, Due Fucili cavalcava in piedi sui due cavalli, un piede sulla groppa dello stallone domato e uno su quella del suo magnifico mustang che aveva saputo tener fronte all'altro magnifico esemplare. Arrivato davanti alla tenda di Nuvola Bianca, venne accolto festosamente da questi. Uscì dalla tenda timidamenteanche Piccola Luna, che rimase in piedi dietro alla mole del padre. Due Fucili saltò giù da cavallo, davanti a Nuvola Bianca. Era un bel gigante anche lui, e la sua mole gareggiava con quella del capo. Il cavaliere bianco prese le redini che aveva messo allo stallone, e con un gesto solenne le porse al capo. Questo volle significare molto, e la tribù intera acclamò il gesto con urla, grida e spari in aria. Nuvola Bianca si scostò, e guardò Piccola Luna. Ella lo guardò a sua volta, poi guardò negli occhi Due Fucili. Si avvicinò a lui, e gli prese le mani nelle sue. Poi lo condusse con se nella tenda. Il matrimonio si sarebbe celebrato quello stesso giorno. Entrando nella tenda, Due Fucili teneva per mano la sensuale Piccola Luna. Ella rimase in piedi al centro della tenda. Si portò le mani alle spalle e tirò i lacci che le reggevano la veste di pelle. Quella con un fruscio sordo cadde in terra. Era bellissima, il suo corpo esotico possedeva una sontuosità sconosciuta. Due Fucili stette ad ammirarla con il cuore in gola. Ma, ad un tratto, gli occhi dell' uomo bianco guizzarono dal bellissimo corpo nudo dell'indiana ad un punto alle sue spalle. La ragazza se ne accorse, e si voltò a guardare. Il cowboy aveva rivisto, appesi ad un palo, il suo fazzoletto, il suo cappello, le sue pistole. Gli occhi di piccola luna si rattristarono di colpo. Non disse nulla, rimase immobile. Il suo corpo nudo venne scosso da un tremito, un brivido le salì su per la schiena. Il bianco la guardò negli occhi. Poi si avvicinò a lei, e allacciandole un braccio dietro le spalle le diede un lungo bacio. Dopodiché si avvicinò al palo, e si allacciò il cinturone in vita. Prese il fazzoletto, e se lo annodò al collo. Poi, con il cappello in mano, le si avvicinò. "Piccola Luna..." disse, ma lei lo zittì appoggiandogli un dito sulle labbra. Poi fece un passo indietro, allontanandosi da lui, e, con la tristzza nel cuore, gli disse: "Va'!". Lui la guardò, grato che avesse capito, ma come con una colpa dentro di sé. Avvicinatosi all'apertura del tepee, le disse solo: "Ciao". Si infilò il cappello in testa, ed uscì. Quando fu fuori, Nuvola Bianca lo vide. Non appena gli vide addosso i suoi vestiti, capì, e non ci fu bisogno di dire una parola. Il cowboy si diresse verso il suo cavallo in silenzio, e lo sellò. Montò in sella, e, solo quando fu sopra al cavallo, Nuvola Bianca gli si avvicinò. "Che mio fratello possa trovare la pace che cerca" - disse - "Quando l'avrà trovata, egli sarà sempre il benvenuto fra il nostro popolo" - fece una pausa - "E sotto la mia tenda" aggiunse poi. Il cowboy strinse la mano del capo. Fu una energica stretta fraterna. Poi spronò il cavallo con un grido, e si lanciò al galoppo fuori del villaggio. Nella prateria lanciò il cavallo ad un galoppo ventre a terra. L'aria fresca sulla faccia lo faceva sentire meglio. Verso sera, in mezzo alla prateria, notò il fuoco di un bivacco. Vi si diresse deciso a farsi offrire una tazza di caffé. Quando giunse alla luce del fuoco, venne accolto da un winchester spianato su di lui. A maneggiarlo era un giovane sui vent'anni, ancora semisdraiato sotto le coperte. "Ehi, abbassa quel cannone, ragazzo!" gridò il cowboy al giovane "Se non ci tieni a ritrovarti un buco in testa"; poi aggiunse: "Vorrei solo una tazza di caffè". Il giovane lo scrutò con attenzione per un buon minuto, durante il quale il cowboy rimase ritto sulla sua sella ad aspettare nell'aria gelida della notte. Poi abbassò il fucile, balzò in piedi e si accinse a preparare il caffè. Poco più tardi, davanti ad una tazza di liquido nero e fumante e vicino al fuoco, il cowboy stava meglio. Il ragazzo prese ad osservarlo attentamente. "E' un po' che ti guardo" disse poi "Come sei vestito, le due pistole, la sella del tuo cavallo... Insomma, tu non sei di queste parti, vero?". "Infatti" sospirò il cowboy ingoiando una golata di caffè. "E di dove sei?" insistette il giovane. "Del Texas" fece il cowboy. "Texas, dici?" si stupì il ragazzo "Accidenti, amico! Sei lontano da casa, vero? Che ci fai quassù così a nord? Da dove vieni?". Per tutta risposta il cowboy, ingollando il caffé bollente, alzò una mano su una spalla e con il pollice indicò dietro di sè. "Oh, capisco!" fece il ragazzo, un po' sconcertato "E dove vai?". Sempre bevendo, il cowboy allungò lo stesso braccio e con l'indice indicò davanti a sè. "Eh, già!" sospirò il giovane. Poi il coboy prese la parola: "Di' un po', ragazzo, qual è il tuo nome?". "Gli amici mi chiamano Matt, Matt Duncan. E qual è il tuo, cowboy?". "Mi chiamano Mc Thierman". Il ragazzo, come se gli fosse stato infilato dell'argento vivo nella schiena, balzò in piedi. "Mc Thierman?!" gridò "John Douglas Mc Thierman, il pistolero?!". Mc Thierman annuì: "Questo è il nome per cui mi giro quando mi chiamano". Matt ora era tutto eccitato, e, nonostante l'aria della notte mettesse i brividi, sudava. "Oh, signor Mc Thierman, io... io sono davvero onorato di fare la vostra conoscenza! Sapete, voi siete così famoso, e...". Mc Thierman l'interruppe: "Non mi dare del 'Signore', e chiamami pure John. E siediti, perdiana, figliolo, non mi piace guardare la gente dal basso in alto". "Oh, certo signor Mc Thierman... ehm... John!", e si sedette accanto al fuoco. Mc Thierman slacciò la coperta dalla sella, e la srotolò. Poi, usando quest'ultima come cuscino, si sdraiò vicino al fuoco. "Figliolo" disse rivolto a Matt "Io mi metto a dormire. Cerca di non fare scherzi stanotte, e vedi di non disturbarmi". "Oh, si John! No, John! Certo John!" sbuffò affannato Matt tutto trafelato. Poi aggiunse: "Buonanotte, John!". Mc Thierman mormorò un: "Buonanotte", poi si addormentò. Il mattino dopo si svegliò con un odore di caffè nel naso. Vide Matt che stava accucciato accanto al fuoco, sul quale bolliva la caffettiera. Bevettero insieme il caffè, poi Mc Thierman si alzò e si mise a sellare il cavallo. "Dove andrete ora, John?" gli chiese Matt. Mc Thierman, stringendo il sottopancia, gli rispose: "Ovunque qualcuno avrà bisogno delle mie pistole e del mio winchester!". Fece una pausa, aggiustando la sella, poi aggiunse: "Ma prima tornerò in Arizona. Passerò da Flagstaff, una mia amica ha un saloon laggiù, e mi ci fermerò un po' ". Matt lo scrutò analitico, poi gli disse: "Ma non siete stanco di andare a vendere il vostro piombo caldo in giro per l'America?", si fermò un attimo, poi aggiunse: "Sono sicuro che quella vostra amica ad El Paso sarebbe ben felice se voi vi fermaste da lei... beh, permanentemente. Avreste una a casa, un camino caldo, un tetto sulla testa... Insomma, una vita". Mc Thierman smise di aggiustare i finimenti, e si girò a guardarlo, ghiacciandolo con il suo sguardo. Poi gli disse: "La mia casa sono il deserto e le praterie, il mio camino è un fuoco di bivacco ed il mio tetto è il cielo d'una notte stellata. La mia vita siamo il mio fucile, il mio cavallo ed io". Matt sorrise: "E' una bella vita... Io invece non so che farò! Non ho idea di dove andrò!". Mc Thierman, infilando il morso al cavallo: "Beh, il mondo è grande. Sono sicuro che un posto dove andare lo troverai, prima o poi". Matt, con la testa ciondolante di lato e le mani attaccate alla fibbia del cinturone, osò: "Beh, io stavo pensando, John... ecco, io pensavo che forse potrei venire con voi...". Mc Thierman, legando la coperta arrotolata ai lacci della sella, lo freddò: "Non ci pensare neppure!". Matt insistette: "Io non ho nulla da fare. Sono senza casa e senza lavoro. So sparare bene, e so cavalcare meglio. Potrei almeno guardarti le spalle...". Mc Thierman sbuffò. Infilò il piede nella staffa, e montò in sella. Poi, dall'alto del cavallo, con le redini in mano: "Avanti, salta in sella!". Matt sorrise. In un attimo sellò il suo cavallo, raccolse tutta la sua roba, coprì il fuoco, e balzò in groppa al cavallo. Poi, rivolto a Mc Thierman: "Dove si va, John?". Mc Thierman tirò un sigaro fuori dalla tasca del gilet. Strappò coi denti il fondo e lo sputò, poi diede fuoco ad un fiammifero ed accese il tabacco. Guardò Matt, con il sigaro in bocca, poi guardò verso l'orizzonte sconfinato della prateria. "Verso l'Arizona!". Spronò il cavallo, e partirono al galoppo. E così, si diressero all'orizzonte, verso la luce del mattino.


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