venerdì 29 marzo 2024
Racconti di Fantasia

LA CASA DEL PASSATO

na notte, in sogno venne uno Spirito e mi portò una vecchia chiave rugginosa. Egli mi guidò attraverso campi e dolci vicoli odorosi dove le siepi sussurravano fra loro nell'oscurità della primavera, finchè arrivammo a una enorme, vecchia casa con finestre sbarrate e alti tetti seminascosti nelle ombre del primo mattino. Io notai che le imposte erano ermeticamente oscurate e la casa sembrava avvolta in una quiete assoluta.
"Questa" sussurrò lo spirito vicino al mio orecchio "è la Casa del Passato. Vieni con me e attraverserai alcune sue stanze e corridoi; ma presto, poichè io ho la chiave solo per poco tempo e la notte sta per finire. Allora, forse, ti ricorderai!"
La chiave fece un rumore terribile mentre girava nella serratura, e quando la grande porta si aprì in una sala vuota e noi entrammo, udii suoni di sussurri e pianti, fruscii di vesti come di persone che si muovevano nel sonno e stavano per svegliarsi. Poi all'improvviso un senso di profonda tristezza mi sopraffece imbevendomi fino all'anima; i miei occhi incominciarono a bruciare e a farmi male, e nel mio cuore divenni consapevole di una strana sensazione di srotolamento di qualcosa che aveva dormito per anni. Il mio intero essere, incapace di resistere, si arrese subito al senso di profonda malinconia; e il dolore del mio cuore, mentre la Casa si muoveva e si risvegliava, divenne in un istante troppo forte per esprimerlo a parole...
Mentre avanzavamo, le deboli voci e i pianti fuggivano via davanti a noi e si ritiravano nelle interiorità della Casa; e io allora mi accorsi che l'aria era piena di mani alzate, di indumenti fluttuanti, di trecce pendule e di occhi così tristi e nostalgici che le lacrime, che già sentivo spuntare nei miei occhi, si trattenevano per la meraviglia alla vista di un tale insopportabile struggimento.
"Non permettere che tutta questa tristezza ti opprima" sussurrò lo Spirito al mio fianco. "Non succede spesso che Essi si sveglino. Dormono per anni e anni e anni. Le stanze sono tutte piene e a meno che non arrivino visitatori come noi a disturbarli, non si sveglieranno mai di loro volontà. Ma, quando uno si agita, il sonno degli altri è disturbato e anche questi si svegliano, finchè il movimento passa da una stanza all'altra e poi alla fine in tutta l'intera Casa... Allora, qualche volta, la tristezza è troppo grande per essere sopportata e la mente si sveglia. Per questa ragione la Memoria dà a loro il sonno più dolce e più profondo che ha, e usa molto poco questa vecchia chiave rugginosa. Ma ascolta ora" aggiunse alzando la mano "non senti attraverso la Casa tutto quel tremolio dell'aria simile al lontano mormorio dell'acqua che cade? E riesci tu ora... forse..., a ricordare?"
Ancora prima che parlasse, io avevo già afferrato debolmente l'inizio di un nuovo suono; e ora, nelle profondità delle cantine sotto i nostri piedi, e anche dalle regioni superiori della grande Casa sentivo i sussurri e i fruscii, e l'intimo agitarsi delle Ombre addormentate. Il suono saliva come un accordo vibrato delicatamente da enormi corde invisibili tese da qualche parte fra le fondamenta della Casa, e questo tremolio si propagava dolcemente attraverso i muri e i soffitti. E io sapevo di aver sentito il lento risveglio degli spettri del passato.
Ah, povero me, per quel terribile afflusso di tristezza stavo con gli occhi bagnati e ascoltavo le deboli voci morte tanto tempo fa... Poichè, davvero, l'intera Casa si stava svegliando; e arrivava alle mie narici il sottile, penetrante profumo del passato: di lettere a lungo conservate, con l'inchiostro sbiadito e i pallidi nastri; di trecce profumate bionde o brune, stese teneramente fra fiori secchi che ancora conservavano la dolcezza della loro fragranza dimenticata; la profumata presenza di memorie perdute, l'intossicante incenso del passato. I miei occhi piangevano, il mio cuore si contraeva e si espandeva, mentre il mio essere cedeva senza riserve a quei vecchi, vecchi influssi di suoni e di odori. Questi Spettri del Passato (dimenticati nel tumulto delle memorie più recenti) pulsavano intorno a me, prendevano le mie mani nelle loro e sussurravano cose che avevo da tanto tempo obliato, sospiravano scuotendo dai loro capelli e indumenti gli ineffabili odori delle epoche morte, mentre mi guidavano attraverso la Casa da stanza a stanza, da piano a piano.
E gli Spettri, non li distinguevo tutti perfettamente. Alcuni avevano solo una vita debolissima, mi impressionavano poco e lasciavano solo una indistinta confusa impressione nell'aria. Mentre altri mi guardavano quasi con rimprovero, attraverso occhi sbiaditi, incolori, desiderosi di farsi riconoscere alla mia memoria. E poi, vedendo che non venivano riconosciuti, galleggiavano indietro, leggermente, dentro le ombre della loro stanza per addormentarsi di nuovo indisturbati fino al Giorno finale, quando io non avrei mancato di riconoscerli.
"Molti di loro hanno dormito così tanto" disse lo Spirito accanto a me "che si svegliano solo con grande difficoltà. Una volta svegli però, essi sanno e si ricordano di te anche se tu non riesci a ricordarti di loro. Poichè la regola in questa Casa del Passato è che, se non ti ricordi di loro distintamente, se non ricordi precisamente quando li hai conosciuti e in quali particolari cause della tua passata evoluzione erano associati, essi non possono rimanere svegli. Se non ti ricordi di loro quando incontri i loro occhi, se il loro sguardo di riconoscimento non viene ricambiato, allora essi sono obbligati a ritornare al loro sonno, silenziosi e dispiaciuti, con le mani vuote, le voci inespresse, per dormire e sognare, immortali, pazienti fino a..."
In quel momento le sue parole svanirono improvvisamente nella distanza e io divenni consapevole di una prepotente sensazione di gioia e felicità. Qualcosa mi aveva toccato le labbra, e un forte, dolce fuoco mi illuminò il cuore e fece scorrere il mio sangue tumultuosamente nelle vene. Il mio polso batteva selvaggiamente, la mia pelle bruciava, i miei occhi si scioglievano e la terribile tristezza del posto era istantaneamente dissipata come per magia. Girandomi con un grido di gioia, che era subito inghiottito dal coro di pianti e sospiri intorno a me, guardai... e istintivamente tesi avanti le braccia in un raptus di felicità verso... verso la visione di un Volto... capelli, labbra, occhi; una stoffa d'oro contornava il bel collo,e il vecchio, vecchio profumo dell'Est era nel suo respiro. Solo le stelle sanno quanto tempo fa... Le sue labbra erano di nuovo sulle mie; i suoi capelli sopra i miei occhi; le sue braccia attorno al mio collo, e l'amore della sua antica anima si riversava nella mia attraverso i suoi occhi stellanti e non ancora offuscati. Oh! Il violento tumulto, l'inesprimibile stupore, se solo io potessi ricordare!... Quel sottile, evocante odore di tanto tempo fa, una volta così familiare... prima che le colline di Atlantide fossero sopra l'azzurro mare, o le sabbie avessero incominciato a formare la culla della Sfinge. Ancora l'attesa; ecco ritorna indietro; io incomincio a ricordare. Tende su tende si sollevano nella mia anima, e io posso quasi vedere al di là. Ma quella mostruosa distesa di anni, terribile e sinistra, migliaia e migliaia... Il mio cuore trema e ho paura. Un'altra tenda si alza e una nuova prospettiva, più lontana delle altre, si rende visibile, interminabile, verso un punto lontano, fra la nebbia spessa. Adesso tutto si sta muovendo, si alza, si illumina. Finalmente potrò vedere... già incomincio a ricordare... la pelle oscura... la grazia dell'Est, gli occhi meravigliosi che detenevano la conoscenza di Buddha e la saggezza di Cristo prima ancora che essi avessero sognato di realizzarla. Come un sogno dentro un sogno, mi sorprende di nuovo, si impossessa fortemente di tutto il mio essere... la forma più esile... le stelle nel magico cielo dell'Est.... le ali che sussurrano fra i palmeti... il mormorio delle onde del fiume e la musica delle canne dove si piegano e sospirano nelle cave con la sabbia dorata. Migliaia di anni fa, oltre cosmiche distanze. Il ricordo sbiadisce un poco e incomincia a passare; poi sembra tornare di nuovo. Ah povero me, quel sorriso di denti scintillanti... quelle palpebre dalle lunghe ciglia. Oh, chi mi aiuterà a ricordare, poichè è troppo lontano, troppo oscuro, e io non riesco a ricordare; anche se le mie labbra ancora tremano e le mie braccia sono aperte, tutto incomincia a sbiadire. Sopravviene un senso dl tristezza inesprimibile quando lei sente che io non mi ricordo più... lei, la cui semplice vicinanza poteva, una volta, cancellare tutto l'universo... e lei ritorna indietro, lentamente, dolorosamente, silenziosamente al suo oscuro terribile sonno, per sognare e sognare il giorno in cui io DOVRO' ricordare e lei DOVRA' venire da chi le appartiene. Ella mi guarda dal fondo della stanza dove le Ombre già la coprono e la avvolgono, con le braccia tese, al suo lungo, lungo sonno nella Casa del Passato.
Tutto tremante, con uno strano odore ancora nelle narici e col cuore infuocato, mi girai e seguii lo Spirito su per una larga scala, in un'altra regione della Casa.
Come entrammo nei corridoi superiori io sentii il vento che passava sospirando sopra il tetto. La sua musica si impossessò di me finchè sentii come se il mio intero corpo fosse un singolo cuore, dolorante, teso, pulsante fino a spaccarsi; e solo poiché avevo sentito il vento sospirare intorno alla Casa del Passato.
"Ma ricorda" sussurrò lo Spirito rispondendo al mio muto stupore "che tu stai ascoltando la canzone cantata da epoche sconosciute a miriadi di orecchi sconosciuti. La sua musica fa ritornare spaventose paure; e in questa semplice nenia, profonda nella sua terribile monotonia, ci sono le associazioni e i ricordi delle gioie, dolori e battaglie di tutte le esistenze precedenti. Il vento, come il mare, parla alla memoria interiore, ed ecco perché la sua voce è di tale profonda tristezza spirituale. E' la musica delle cose per sempre incomplete, non finite, insoddisfatte."
Mentre passavamo attraverso le stanze a volta, notai che nulla si muoveva. Non c'erano veri suoni, solo una impressione generale di profondo respiro collettivo, simile all'ansito di un oceano imprigionato. Ma le stanze, lo capii subito, erano piene fino alle pareti, affollate, file su file... E, dai piani inferiori, saliva anche il mormorio di Ombre piangenti mentre ritornavano al loro sonno, e si coricavano di nuovo nel silenzio, nell'oscurità e nella polvere. La polvere... Ah, la polvere che galleggiava nella Casa del Passato, così spessa, così penetrante; così fine, riempiva la gola e gli occhi senza dolore; così fragrante, calmava i sensi e quietava il cuore che soffriva; così soffice, inaridiva la lingua senza irritare; e così silenziosa, cadeva, si raccoglieva, si adagiava sopra ogni cosa, così che rimaneva nell'aria simile a una nebbia sottile e le Ombre dormienti ne erano avvolte come dentro i loro sudari.
"E queste sono le più vecchie, quelle che hanno dormito più a lungo" disse lo Spirito indicando le file affollate di silenziosi dormienti. "Nessuno qui si è svegliato da epoche innumerevoli; e perfino se si svegliassero tu non li riconosceresti. Essi sono, come gli altri, tutte personalità tue, ma essi sono le memorie dei tuoi stadi primitivi lungo il grande Sentiero dell'Evoluzione. Un giorno però, essi si sveglieranno, e tu dovrai riconoscerli, e rispondere alle loro domande, poiché essi non possono morire finché non sono esauriti di nuovo attraverso te, che li hai fatto nascere."
"Ah!" Mentre ascoltavo il significato delle ultime parole pensavo: "quali madri , padri, fratelli possono essere addormentati in questa stanza; quali fedeli amanti, quali veri amici, quali antichi nemici! E pensare che un giorno essi verranno avanti e si confronteranno con me, e io dovrò incontrare ancora i loro occhi, ascoltare i loro diritti, conoscerli, perdonarli ed essere perdonato... le memorie di tutto il mio Passato..."
Mi voltai per parlare allo Spirito al mio fianco, ma egli stava già sbiadendo nell'oscurità e, mentre guardavo di nuovo, l'intera Casa si fondeva nel rossore del cielo a est, e sentii gli uccelli cantare e vidi le nuvole sopra di me che velavano le stelle nella luce del giorno che stava per nascere.


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"ALDILA'" DELLA LINEA

"Pronto"
".... Fff...."
"Pronto?!"
".... Bbb...."
"Ma chi è??"

CLICK

"Pronto"
".... Ssolo...."
"PRONTO! CHI PARLA?!"
"... Fffreddo..."
"PRONTO!! CHE SCHERZI CRETINI!!!"

CLICK

"PRONTO"
"..."
"SENTA, MI HA PROPRIO STANCATO!"
"... Solo..."
"SOLO COSA?!!"
"... Buio..."

CLICK

"Società dei telefoni, buongiorno."
"Buongiorno, avrei bisogno di un controllo sulla mia linea, da giorni ormai ricevo strane telefonate, l'ultima proprio un minuto fa, potrebbe per cortesia risalire al numero che continua a chiamarmi?"
"Effetto subito un controllo Signora, attenda in linea"
"Grazie"

"Pronto Signora?"
"Sì, eccomi."
"Il numero corrisponde ad un interno dell'Ospedale, ma risulta staccato, la metto in linea con il centralino, resti in linea."
"Sì, grazie, molto gentile."

"Ospedale cittadino, buongiorno."
"Buongiorno, spero mi possa aiutare, ho un grosso problema: continuo a ricevere telefonate anonime, ho chiamato l'agenzia dei telefoni e sono risaliti ad uno dei vostri numeri interni..."
"Oh, spero non sia qualche ricoverato in vena di fare scherzi per passare il tempo, può darmi il numero? Provvedo subito a controllare, la richiamo appena so qualcosa."
"La ringrazio."

"Pronto"
"Pronto Signora, è il centralino dell'Ospedale."
"Sì, avete scoperto chi è il burlone?"
"Ecco... Veramente... Il numero che mi ha dato corrisponde alla stanza 316..."
"E quindi??"
"E' la stanza del Sig. Morganti..."
"E allora?"
"E' in coma irreversibile ormai da due anni lo teniamo in vita artificialmente, perciò abbiamo pensato che potrebbe essere un inserviente ad utilizzare il telefono della stanza ma... E' stato tolto un anno fa... E' rimasta solo la presa."
"Ah..."

"Pp... Pronto"
"... Solo..."
"..."
"... Freddo..."
"..."
"... Buio..."


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A MEZZANOTTE

Benedetta si sedette sul letto, incrociando le gambe, rassegnata. Aspettava lo scoccare della mezzanotte come un condannato attendeva il suo carnefice.
In lontananza echeggiarono dodici cupi rintocchi.
Non appena furono terminati, dalla parete davanti a lei si aprì una spaccatura. Ne uscirono un fumo spesso e maleodorante, un calore infernale e lontane urla di sofferenza. Un istante dopo, emerse dall’improvvisata porta un individuo vestito molto elegantemente, dalla testa glabra, color sangue, su cui campeggiavano due piccole corna nere.
- Molto bene! – sorrise compiaciuto il demone – Vedo che mi stavi aspettando. Hai avuto un anno di fama, ricchezza, sesso e fortuna. Spero ti sia piaciuto. Ora è giunto il momento di rispettare i patti.
- Non c’è modo di ottenere una proroga?
Chiese lei, mesta.
Il demone allargò le braccia e inclinò di lato la testa:
- Lo sai bene – disse ironicamente bonario – Una volta stipulato un contratto non sono ammesse deroghe!
Benedetta sospirò, alzandosi dal letto. Quando fu in piedi si irrigidì, come pietrificata.
- Allora? Andiamo? – Soffiò spazientito l’individuo.
Violentissime convulsioni attraversarono il corpo della ragazza, gli occhi si girarono indietro mentre emetteva solo rivoltanti gorgoglii. Crollò a terra, innanzi al demone che, impassibile, assisteva allo spettacolo.
Dalla bocca di lei uscì un denso fumo bianco, che si ricompose davanti all’essere, assumendo la forma di un suo simile.
- Bene Azael, - disse il primo – ora possiamo andare. Spero che ti sia divertito, durante le ferie. Abbiamo un sacco di lavoro arretrato, da sbrigare.
- Lo so. – disse asciutto l’altro, mentre seguiva il collega attraverso la fenditura – È ben per quello che non volevo lasciare il mio corpo ospite.
L’apertura si richiuse senza lasciare alcun segno e la stanza piombò in una quiete sinistra.
Benedetta giaceva ancora esanime in terra. Presto si sarebbe risvegliata. Senza alcun ricordo dell’ultimo anno.


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14 APRILE 1912

Cinzia adorava le aste e i mercatini di cose antiche. Era una ragazza moderna, dinamica e studiosa, coni suoi 20 anni. Aveva una vita, ma anche la passione per le antichità.
Un giorno, come di consueto, si recò alla casa dele aste. Non era povera, ma nemmeno ricca, e quindi non poteva permettersi gli oggetti più costosi, ma trovava spesso cose accessibili e si divertiva rilanciare i prezzi con gli altri clienti.
Il primo oggetto era un vaso, cinese, a dire del venditore, ma un intenditore avrebbe capito che era un falso. Il secondo ggetto, invece, attirò particolarmente l'attenzione di Cinzia. Erano dei guanti, molto eleganti, risalenti al primo '900 inglese.
Fece la prima offerta. Ma molte persone erano interessate a quell'affascinante ed insolito oggetto, indossato da chissà chi, chissà quando, e chissà dove. Ma lei era stranamente attirata da quella cosa. Non si sarebbe mai sbilanciata per un simile vezzo, ma senza sapersi spiegare il perchè, decise di acquistarli ad ogni costo, e alla fine concluse un prezzo molto alto.
... E UNO,... E DUE... E TRE... AGGIUDICATO ALLA SIGNORINA BIONDA IN QUARTA FILA.
Tornò a casa, portando con sè i suoi nuovo guanti. Da esperta quale era di oggetti antichi, capì che avevano subito una qualche restaurazione... il tempo doveva averli consumati parecchio.
La ragazza ripose i suoi guanti in un cassetto, poi decise di farsi un bagno. Riempì la vasca, ma al momento di immergersi, ebbe una sensazione di repulsione verso l'acqua che riempiva la vasca. Scioccata, la ragazza, decise di coricarsi.
Durante la notte sognò di essere in un salone, molto, molto elegante, dove c'era gente che beveva aperitivi e conversava con un sottofondo musicale che sembrava venisse da un'orchestra...
Si svegliò di soprassalto, e vide un'ombra muoversi nella stanza. Cinzia sbattè gli occhi, e l'ombra era scomparsa.



***



Convinta di essere un pò esaurita, Cinzia decise di staccare la spina e di concedersi una vacanza da sola. Non voleva allontanarsi, ma qualcosa dentro di lei la spinse a prenotare una crociera verso l'America.
I primi giorni furono tranquilli, e la ragazza si rilassò molto, anche se di notte continuava a vedere in sogno lo strano salone.
Una notte, si trovava sull'oceano Atlantico, e svegliandosi di colpo a causa del solito sogno, rivide quell'ombra. Provò ancora a sbattere gli occhi, ma stavolta l'ombra non sparì, ma frugò nel cassetto, dove Cinzia teneva i suoi accessori. E prese i guanti. Nella penombra della sua cabina, Cinzia vide la figura indossare i guanti. A quel punto le sfuggì un urlo, e la figura si girò: era una donna, o, almeno, quello che una volta era stato una donna. Aveva un occhio spento penzolante sulla guancia, mentre l'altro occhio mancava. Era orribilmente sfigurata, e aveva un colorito tra il grigio e l'azzurro...
Cinzia la vide uscire dalla cabina, e come presa da un impulso, la seguì fino al ponte deserto. La figura si avvicinò al parapetto. Vedendo che la ragazza la osservava, in un secondo arrivò davanti a lei.
Cinzia stava per svenire, ma lo spettro parlò, con una voce che sembrava il rumore di una foglia secca che veniva schiacciata
"QUESTI GUANTI LI HO PERSI IL 14 APRILE 1912. ORA VIENI CON ME"
E così dicendo il fantasma trascinò la ragazza giù dal parapetto nell'acqua gelida.
Negli ultimi istanti prima di morire, Cinzia vide sotto di sè come una minuscola luce verde, che aveva vagamente la forma di una nave. Il suo ultimo pensiero fu che quella sarebbe stata la sua tomba, nei resti dello stesso salone che aveva sognato, e che era sparito tra le le acque con la sua nave, il Titanic, il 14 aprile 1912.


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Shock!

Va di merda: ecco cosa pensai uscendo dall’ufficio di Susy. Nessun fattore che alteri questa piattezza, la monotonia dei giorni. Accesi la moto e come sempre una fitta residua di elettricità mi passò attraverso. Era rimasta l’unica cosa ad avere un senso. Quindici anni chiuso in quell’ufficio e all’inizio mi era sembrata addirittura una fortuna, per me che venivo da una bottega di falegnameria. Niente diploma, corsi su corsi per riuscire a scappare dal giro massacrante della manovalanza generica e adesso… La moto partì con un rombo assordante, trattenni i nervi che avevano bisogno di aria veloce per poter essere raffreddati, ma solo fino all’imbocco della tangenziale, poi lasciai che facessero ciò che andava fatto. Misi le due ruote di fianco alla linea bianca e lasciai sfogare il motore. I pensieri si sbriciolarono all’istante, scivolando all’indietro fuori dal casco e disperdendosi nell’aria. Per un attimo mi attraversò la testa l’idea di chiudere gli occhi e lasciare che la questione finisse lì. E’ che avevo voglia di vivere, Cristo! forse solo in un modo diverso, ma vivere. Ciò che stavo portando avanti, era un patetico surrogato dell’esistenza che avevo immaginato da ragazzo. Fu in quel momento che mi venne l’idea, mentre raspavo sul fondo della botte mi venne in mente l’unica cosa possibile da fare. E la feci. Sbucai alla prima uscita e tornai verso casa, avevo bisogno di riflettere con calma.
Misi la chiave nella toppa, aprii e per la prima volta, dopo non so più quanti anni, nessuna sensazione di sconforto. Era un segno, doveva esserlo per forza. Feci scendere l’acqua calda nella vasca da bagno, Susy non sarebbe arrivata prima di un’ora e a me occorreva un po’ di pace, non la odiavo in fondo, quello che c’era stato fra noi si era solamente spento in modo del tutto naturale, un po’ come tutto il resto delle cose che avevo attorno. Era stato bello conoscerla, ed era stato anche grazie a lei se mi ero deciso a fare tutti quei corsi, per poter entrare a lavorare nell’ufficio di suo padre e starle vicino. E’ andata come è andata.
Quella sera trascorse come tante altre, mangiammo in silenzio guardando uno dei tanti stupidi programmi a premi che danno a quell’ora, guardavo il suo profilo mentre prestava attenzione allo schermo, e la trovai bella. Avrei voluto parlarle, spiegarmi, farle sapere che mi stavo consumando come una candela a forza di giorni sempre uguali e ripetitivi, che ormai anche la nostra storia stava subendo lo stesso inevitabile destino di quasi tutte le altre, che era meglio salvare il salvabile fino a che eravamo ancora in tempo, piuttosto che arrivare a quella fase di intolleranza che porta inevitabilmente all’odio più profondo. Non lo feci, non avrebbe capito comunque.
Presi sonno tardi per il nervoso e quando sentii che si stava alzando per il lavoro, dissi che avevo qualche linea di febbre, che sarei rimasto a casa. Negli ultimi tempi si era abituata alle mie febbri occasionali, in qualche modo aveva intuito il mio malessere e lasciava correre. Lo catalogava nella sua anima, fra uno dei tanti taciti accordi che erano maturati col tempo assieme al nostro matrimonio, e che ci aveva consentito di tirare avanti senza quasi mai una lite per tutti quegli anni.
Venne a darmi un bacio, poi la porta si chiuse e io iniziai i miei preparativi. Preparai il caffè e tirai fuori lo zaino da viaggio, sistemandoci dentro qualche vestito. Andai in bagno, mi lavai e regolai la barba che avevo iniziato a farmi crescere qualche mese prima. In un attimo fui fuori dalla porta. La moto sembrava al corrente di quanto stava per accadere, era pronta senza nemmeno bisogno di doverla scaldare. Accelerai un paio di volte, tolsi il cavalletto e partii in direzione della banca dove ritirai quasi tutto quello che avevamo, a lei sarebbe restata la casa, la macchina e tutto il resto.
Ero pronto, una gioia selvaggia mi assalì non appena iniziai ad allontanarmi dalla città, le case scorrevano veloci di fianco ai miei occhi e c’era il sole. Sapevo che non avrei fatto mai più ritorno, ne ero sicuro. Qualcosa dentro di me era totalmente distaccato, mentre tutto il resto ribolliva con una potenza mai provata prima, dandomi la totale consapevolezza che quello che stava succedendo era l’unica cosa giusta da fare. Lei era ancora giovane e si sarebbe rifatta una vita: con questo pensiero misi a tacere definitivamente i sensi di colpa, mentre mi allontanavo dal mio passato a centosessanta chilometri orari.
Imboccai l’autostrada per il mare. Un senso di stupore mi eccitava gli occhi, riempiendoli di ogni fuggevole immagine che veniva proiettata dal paesaggio circostante, come se fosse sparata fuori da un fucile a pompa direttamente nel mio cervello. Bruciai le tappe. Genova mi venne quasi addosso, mentre uscivo dal casello. Mi fermai ad un bar nei pressi del porto per bere una cosa, e venni praticamente adescato da una ragazza giovane, poco meno di vent’anni. Voleva soldi da me, lo sapevamo entrambi, ma lasciai che portasse avanti lo stesso la sua recita di seduzione.
Passammo la giornata assieme e mi mostrò diversi posti molto suggestivi, sulle colline che stringevano la città in una morsa stretta fra le loro morbide pendici ed il mare. Un posto in particolare mi lasciò completamente di stucco: si trattava di un’altura alla quale si poteva giungere solo attraverso un ripido pendio sterrato e che terminava su uno strapiombo incredibilmente suggestivo. Fu una guida impeccabile, non c’era posto di cui non conoscesse la storia o qualche aneddoto divertente; la giornata volò e quando il sole scese dietro al mare la portai in un albergo, lo scelse lei e io non ebbi nulla in contrario. Facemmo l’amore in modo furioso, ebbi l’impressione che ne avesse avuto bisogno almeno quanto me, ma forse era solo parte della sua recita. Quando finimmo andò in bagno a darsi una rinfrescata, così disse, ma quando mi alzai cercando di non fare rumore, la vidi che si iniettava eroina dalla porta che aveva lasciata socchiusa. Avrei voluto dirle qualcosa, ma lasciai perdere e tornai in silenzio sotto le coperte addormentandomi di schianto.
Al mattino non la trovai nel letto. L’angoscia mi attanagliò lo stomaco immediatamente, come potevo essere stato così ingenuo? Corsi in mutande verso i vestiti, avevo nascosto i soldi in una tasca della cintura che mi ero fatta fare qualche mese prima, da un artigiano vicino casa. Chiaramente non c’era più, aveva preso solo quella lasciandomi il portafogli con dentro perfino qualche soldo. Che carina…
Schizzai come un pazzo fuori dall’albergo e la cercai per ore in giro per la città, con la proiezione della sua immagine nella testa, ad immaginarla mentre rovistava fra le mie cose, all’alba, attenta a non farsi sentire. Bastarda. Lo sconforto e la rassegnazione arrivarono insieme al primo pomeriggio e le mie ricerche si fecero sempre meno frettolose, fino a ché mi ritrovai a camminare con lo sguardo sui marciapiedi. Mi immaginai tornare a Milano con la coda tra le gambe, senza più un soldo, a dare spiegazioni confuse. Poi un’altra volta l’anonimato più totale, il nulla, i giorni uguali a desiderare la pensione come il più intenso dei miraggi. Sollevai la testa e corsi fino al parcheggio dove avevo lasciato la moto, accesi e partii. Girai con la test vuota per più di un’ora fino al momento in cui, quasi senza essermene reso conto, mi ritrovai nei pressi del burrone che tanto mi aveva affascinato il giorno prima. Ecco l’ultimo capitolo pensai, con un sorriso amaro nel cervello. Misi il cavalletto e sedetti in terra, non so più quanto tempo trascorse, poi mi persi e mi ritrovai e poi ancora, fino a ché il sole era ormai quasi tramontato del tutto. Il resto fu tutto un susseguirsi di gesti lenti ed accurati: accesi la moto e la lasciai scaldare, la spinsi in dietro per un centinaio di metri e montai. Quando la prima diede il suo schioppo secco, fu come la prima volta… partì e mi accorsi di aver lasciato il casco in terra, questo pensiero mi fece sorridere. Le gomme cominciarono a stridere sul selciato, sparando via i sassolini come proiettili. Tutto era privo di suoni, solo un fruscio veloce come quello del vento, mentre mi staccavo da terra ad accogliere l’abbraccio del sole morente.


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