Ricordi del mio asinello di nome Bijì
Mio padre, che ha 87 anni, mi ha raccontato di quando era bambino e aveva un asinello di nome Bijì.
"Quando avevo sette anni la mia famiglia abitava in una casa con un ampio giardino in cui vi erano molti fruttiferi, un apiario e una tettoia nella quale alloggiava una capra. La casa era nella periferia della città. Infatti, proseguendo nella strada si trovavano orti, frutteti, oliveti ed una azienda zootecnica la cui proprietaria si chiamava Signora Candida.
Questa era una bella donna, alta, magra, altera e vestiva il costume del suo paese. Aveva una bellissima voce, tanto che nelle feste paesane andava a cantare in dialetto sardo. Aveva alcuni cavalli da corsa, una decina di cani, molte galline e anitre.
Abitava in un grande caseggiato con un ampio piazzale al centro del quale vi era un pozzo, assai profondo, in cui scorreva un ruscello che in gergo veniva chiamato "dragonaia". Il terreno circostante, di molti ettari di superficie, era coltivato parte ad oliveto, parte a frutteto e parte lasciato a pascolo.
Un giorno mio padre mi disse: "Devo andare dalla Signora Candida, vieni anche tu."
Quando entrammo nel cancello che distava un centinaio di metri dal fabbricato rurale una valanga di cani ci venne incontro, abbaiando e ringhiando rabbiosamente. La signora Candida, a sentire tutto quel baccano, si affacciò alla porta della sua casa, fece un fischio i cani d’un tratto si ammutolirono e ci lasciarono passare.
Quando arrivammo nel piazzale vidi un carro trainato da due grossi buoi dal mantello rosso al quale era legata un’asina di razza sarda, quindi di bassa statura, che aveva vicino un asinello piccolo, al massimo di un mese di età. Era molto grazioso e aveva il mantello di colore grigio con la croce nera sulla groppa e due orecchie lunghe.
Mentre mio padre parlava con la Signora Candida io mi avvicinai all’asinello che, molto docile, si fece accarezzare. Quando mio padre mi chiamò per andare via mi separai da lui con gran dispiacere.
Arrivato a casa raccontai alla mia mamma dell’asinello che avevo visto.
Ad un certo punto mi affacciai al portone e vidi il carro trainato dai buoi che veniva giù lentamente portandosi dietro l’asina e l’asinello. Chiamai mia madre e mentre anche lei lo osservava mi venne un’idea brillante.
Dissi a mia madre: "Dì a quell’uomo che guida il carro se ci dà l’asinello in cambio della capra."
Mia mamma, per accontentarmi, disse: "Quell’uomo, mi dà quell’asinello in cambio di una capra?"
L’uomo fermò il carro, entrò nel giardino, si avvicinò al box dove era la capra, la guardò, la tastò e disse: "Affare fatto!" Prese la capra e la legò dietro al carro, poi prese in braccio l’asinello e lo depose dentro il box al posto della capra. Ci salutò, risalì sul carro e ripartì.
Io non credevo ai miei occhi, mi sembrava di sognare, continuavo ad accarezzare quella povera bestiolina che avevo privato della sua mamma. Ero tanto felice che se i miei genitori me lo avessero permesso lo avrei portato a letto con me.
Per un po’ di giorni quel povero asinello ragliò chiamando al sua mamma. Poi la dimenticò e mi si affezionò tanto che mi seguiva come un cagnolino in qualsiasi posto andassi.
Ricordo che lo portai a far parte di un presepio vivente che un amico di mio padre fece nel suo appartamento al quarto piano, al centro della città. Verso le due di notte, quando andammo a riprenderlo, passando davanti a un bar vi entrammo e lui tranquillamente passava da un tavolino all’altro mangiando le paste che gli avventori incuriositi gli offrivano.
Lo portai anche a scuola per farlo vedere alla maestra e ai miei compagni.
Quando raggiunse l’età di tre anni mio padre gli fece costruire un calessino su misura e i finimenti da un sellaio. Lo domammo e divenne un ottimo trottatore. Così mio padre, che era impiegato di banca, ma nel tempo libero si dedicava all’apicoltura, anziché andare a piedi a visitare gli apiari che aveva nelle campagne intorno alla città, andava in calessino.
Bijì, anche crescendo, si era mantenuto sempre docile. Però al mondo nessuno è perfetto e anche lui aveva due piccoli difettucci. Il primo: quando mangiava non voleva essere disturbato. Se ci si avvicinava, grugniva e calciava. Noi però lo sapevamo e non lo disturbavamo.
Il secondo: quando il calessino percorreva una strada che ad un certo punto si biforcava poteva essere un problema. Se dovevamo girare a destra e lui aveva deciso di girare a sinistra si impuntava e allora era necessario ricorrere alla frusta per metterlo sulla giusta via.
Trascorsero così sei o sette anni. Bijì, pur rimanendo basso di statura, si era ingrossato ed era diventato un bell’asino.
Nel frattempo mio padre aveva aumentato il numero degli apiari anche se aveva sempre poco tempo a disposizione per andarli a visitare. Così decise di sostituire l’asinello con un cavallo che era più veloce. Comprò infatti un bel cavallone alto e snello che sembrava un cavallo da corsa. Fece allungare le stanghe al calessino e il mio asinello Bijì rimase senza lavoro.
Con mio gran dolore, un giorno decise di darlo a un suo amico che aveva un’azienda orticola. Questi adibiva Bijì, attaccato ad un carretto, al trasporto degli ortaggi al mercato e al trasporto del letame dalle stalle, che a quel tempo erano molto diffuse entro al città, fino agli orti.
Per quanto mio padre avesse raccomandato al suo amico di non disturbare Bijì quando mangiava, gli operai che lavoravano nell’azienda, ogni volta che questi manifestava il suo malcontento quando era disturbato, grugnendo e calciando, lo riempivano di botte.
Quella povera bestia cominciò così ad intristirsi.
Un giorno venne a casa un operaio mandato dall’amico orticoltore per dirci che l’asinello stava male.
Corsi all’azienda e lo trovai disteso per terra. Lo chiamai: "Bijì, Bijì, Bijì!!".
Lui riconobbe la mia voce e alzò la testa. Feci in tempo a prendergliela fra le mani che esalò l’ultimo respiro. Quando mi resi conto che era morto cominciai a piangere e così continuai fino ad arrivare a casa.
Sono trascorsi quasi sessanta anni eppure nel mio cuore, in un angolino, il mio asinello Bijì, che mi diede tanta felicità, è sempre vivo.".
Quando mio padre ha finito questo racconto l'ho guardato: i suoi occhi erano pieni di lacrime.