MORMORII NOTTURNI
D'accordo, va bene, sarò franco con voi, vedo che mi scrutate in unCalibro 45
Salì le scale buie in legno addossato alla parete sudicia ed umida, quasi appiccicatovi, per non far scricchiolare i gradini. Giunto al secondo piano, rimase qualche secondo davanti al corridoio immerso in una semi-oscurità in silenzio, immobile, cercando di trattenere il respiro affannoso. Da sotto la seconda porta a destra filtrava della luce, e da lì provenivano risate grasse e voci rauche. C'era un forte odore di alcool misto ad umido e muffa. Aprì il tamburo della sua "45" per controllare di aver inserito tutti i proiettili: ce n'erano sei, tanti quanti erano stati i poveri depositari orrendamente uccisi da quei quattro bastardi alla National Bank. Richiuse la rivoltella con un secco scatto metallico. S' avvicinò alla porta, e rimase in ascolto. Sentiva le voci di quattro uomini, e sperò che non vi fossero ulteriori complici addormentati. Da un tavolino lì, vicino a lui, nel corridoio, prese un vaso di fiori. Rovesciò fiori ed acqua nel cassetto e si parò davanti alla porta. Il cuore gli tamburellava forte in petto e le vene dietro la nuca e sulle tempie gli pulsavano. Tirò un lungo respiro, poi sfondò la porta con un calcio. Mentre tirava il vaso contro la finestra, scaricò due colpi sul primo dei quattro, che allo schianto aveva messo mano al mitra. Poi, gettandosi a terra, ne fece secco un altro. Gli altri due s'erano girati distratti dalla rottura della finestra, ed avevano perso secondi preziosi. Nella caduta andò a sbattere la testa contro un tavolino, che gli cadde addosso. Lo prese per una gamba e lo tirò in faccia al terzo uomo, mentre con un altro confetto della sua Colt apriva un buco nello stomaco del quarto che gli stava sparando addosso con una Smith&Wesson. Rialzatosi, vide quello a cui aveva lanciato il tavolino cercare di estrarre la calibro trentotto dalla fondina appesa alla testiera del letto. Un colpo lo freddò in piena fronte. Quando il fumo ed il rumore degli spari si furono diradati, sentì un gemito provenire da quello colpito al ventre. Senza pensarci su, gli diede i colpo di grazia in mezzo agli occhi. Prima di uscire, ricaricò la pistola. Poi raccolse da terra la bottiglia di whisky caduta dal tavolino, e ne bevve una robusta golata. Faceva schifo, ma almeno aveva dell'alcool da far scendere nelle budella. Uscendo, si girò a guardare i quattro cadaveri in mezzo al fumo degli spari. -Bastardi- mormorò, prendendo la porta. Ai clienti dell'alberghetto che si sporgevano timorosi dalle porte delle loro camere mostrò la tessera del suo circolo degli scacchi: -Sono un ispettore di polizia, circolare. Non c'è nulla da vedere, tornate sotto le coperte a dormire, brava gente-. Sceso al banco della reception, se così la si vuol chiamare quel bancone di legno di pino sverniciato, chiese un telefono. Per allontanare la curiosa padrona che pareva interessata ad ascoltare, posò sul bancone la "45" con un forte tonfo, e quella si defilò. Chiamò la polizia, quella vera, dando l'indirizzo. Riappese senza dire nessun nome, e uscì per la strada. Aveva cominciato a piovere. Si alzò il bavero della giacca, si calcò in testa il cappello e si reinfilò la Colt nella fondina sulla natica destra. Odiava portare la pistola sotto l'ascella, dava fastidio ed era lenta da estrarre. Attraversò la strada bagnata, scalpicciando fra le pozzanghere, zoppicando senza accorgersene, ed andò ad infilarsi in un bar lì di fronte. Si fece servire una tazza di caffé fumante da una piccola cameriera carina, con un seno procace e un gran bel sederino. Aspettò di veder arrivare le macchine della polizia. Poi raccolse il cappello, e fece per andarsene quando si sedette al suo tavolo l'avvenente camerierina con la brocca del caffé. Gli ririempì la tazza e si sedette a guardarlo. Era molto giovane, forse diciotto anni, bionda, molto carina e con un fisico da venticinquenne. -Dove hai la macchina, grand'uomo?- gli chiese lei. -Qui fuori, bambola. Hai forse bisogno di un passaggio a casa?-. -Fino a casa tua, se ti va-rispose maliziosa solleticandogli con un piedino nudo la caviglia destra. Lui provò dolore, e solo allora si accorse che forse se l'era distorta buttandosi in terra. Non aveva più l'età per fare certe acrobazie. -Io non ho casa, piccola-rispose ingollando il liquido nero e fumante. -Io si, vagabondo- replicò piccante lei -Se ti va, puoi dormire da me, stanotte-. Non era una novità, per lui. Non aveva davvero una casa, e ogni notte doveva trovare un posto per dormire, o era costretto a rannicchiarsi sul sedile posteriore della sua Chevrolet. Uscirono mezz'ora dopo, quando lei finì il turno. Lui le porse la sua giacca, che lei si mise sulla testa. Notò così la rivoltella nella fondina. Corsero sotto la pioggia fino alla macchina, la caviglia ora cominciava a dargli fastidio. Quando furono tutti e due dentro l'abitacolo, lui era fradicio dalla testa ai piedi. -Sono zuppo fino dentro al midollo-sbuffò. Lei appoggiò le proprie labbra umide sulle sue. Aveva le labbra calde, e una lingua sinuosa ed eccitante. -Ci penserò io a scaldarti- disse poi. Lui si fece guidare fino a casa di lei, e parcheggiò davanti al portone. -Non puoi lasciare la macchina qui- gli disse lei, scendendo. -Che ci provino, a portarmela via- ribatté secco lui, battendo la mano sulla fondina. Abitava al terzo piano, presero l'ascensore dove si scambiarono un lungo bacio appassionato e fecero conoscenza dei rispettivi corpi. Entrati nel piccolo appartamento, lei si diresse in camerada letto, ed entrò nel bagnetto attiguo. Lui cominciò a spogliarsi. Estrasse la pistola dalla fondina e la infilò sotto il cuscino; era un vecchio trucco che gli avevano insegnato tanti anni d'esperienza. Quando lei uscì dal bagno, indossava soltanto un eccitante profumo ai frutti esotici. Aveva un corpo splendido, statuario. I seni sodi ed eretti, un fisico sportivo scolpito, ed il bacino prominente con quel piccolo triangolo nero in mezzo alle gambe era un invito ai pensieri peggiori che possono passare per la testa di un uomo. Era solo una ragazzina, ma su quel letto gli dimostrò come quel corpo lo sapeva usare molto bene. Al mattino si destò svegliato dal passaggio di un rumoroso camion nella via di sotto. Si girò, e vide il corpo nudo della ragazzina. Era difficile pensare a lei come una giovinetta di quell'età dopo quello che aveva saputo fare quella notte. L'aria della stanza era stantia, e puzzava di sudore. Si alzò e si rivestì. Quella gattina selvatica si era rivelata davvero una viperetta, e gli aveva lasciato un bel segno, tre profondi graffi sulla spalla destra con quelle unghie da felina. Si sciacquò al lavabo, non aveva di che radersi. Sfilò la "45" da sotto il cuscino, e se la infilò di nuovo nella fondina. Poi prese dalla tasca interna della giacca il portafogli, ed estrasse tutte le banconote che aveva, tenendosi solo venti testoni. Infilò gli altri sotto una bottiglia. Prese il whisky e ne bevve due bicchieri. Questo era davvero buono, la piccola alcoolizzata ci sapeva fare in fatto di Scotch. Rimise la bottiglia sopra le banconote, raccolse la giacca ed uscì. La ragazzina dormiva ancora. Sceso in strada, trovò un ragazzotto con un berrettino in testa che con del fil di ferro cercava di scassinargli la portiera della Chevrolet. Con un calcione ben sferrato gli fece volar via l'armamentario dalle mani, ma gli fece male la caviglia; poi con un cazzotto in piena faccia lo stese sul marciapiede. Se lo caricò in spalla, svenuto, e lo scaraventò in un cassone dei rifiuti. La spazzatura va buttata al suo posto, si disse. Poi risalì in macchina, ingranò la prima e se ne andò. Cominciava ad essere stufo, dopo tanti anni, di portare giustizia in giro ammazzando luridi delinquenti e fare all'amore. Ma che altro aveva da fare? Erano le cose che gli riuscivano meglio.