sabato 27 aprile 2024
Racconti di Avventura

MORMORII NOTTURNI

D'accordo, va bene, sarò franco con voi, vedo che mi scrutate in un
certo qual modo, non importa, non vi sforzate, non ho nessun problema ad
ammetterlo ormai, in fondo poi, c'ä forse qualcosa di male?, si, avete
capito bene, sono omosessuale.
Credo di esserlo sempre stato, almeno che io ricordi voglio dire, ero
poco più che adolescente, ma non è di questo che voglio parlare adesso,
vedete, non mi sembra più tanto importante ormai, dopo tutto ciò che è
successo qui...
E poi, cosa c'entra questo? Non ho mai fatto niente di male, non ho mai
violentato bambini, donne, mi viene quasi da ridere, donne meno che
mai, come avrei potuto direte voi, e certo, come avrei potuto?
Vi dirò anche, se questo potrà servirvi, vi sembrerà adesso che io ne
parli con naturalezza, con serenità quasi, ed è vero, ma anche a me
appare strano, l'ho sempre tenuto nascosto, a tutti, anche a mia madre
pensate, pure le dico tutto...
Ho sempre nascosto a tutti di essere un omosessuale, sino ad oggi
intendo, ora, beh, ora non ha più importanza, ormai tutto è accaduto, e l'ho
tenuto nascosto perché mi vergognavo, mi sembrava, che sciocco, di non
essere normale, e invece...
Ma andiamo con ordine, ci tengo che voi capiate tutto.
E' iniziato ieri. Per la precisione, ieri sera. Saranno state le sette,
poco più. Sapete, ho sempre avuto molte amicizie, vedo forse un
risolino affiorare sulle vostre labbra?, si, avete capito, amicizie
chiamiamole occasionali, sapete noi omosessuali troviamo amici, normalissimi
certo, per le loro mogli, per i loro figli, troviamo amici dicevo con molta
facilità, e, diciamo così, i luoghi che frequentiamo, ma soprattutto
gli sguardi che ci scambiamo, non lasciano molto spazio ai dubbi, si
capisce subito cosa cerchiamo gli uni dagli altri, e accontentarci è facile...
Bene, dicevo, e non vi irrigidite adesso, so che potrò sembrarvi
squallido, pure, tutto ciò che volete, ma non potete immaginare quale fascino
esercitino su di me le stazioni, anche quelle piccole, di periferia,
tutta quella gente che va e viene, e se solo poteste immaginare che
scambi, che commerci, i gabinetti delle stazioni, quanti incontri, non posso
nemmeno pensarci. Via, non fate i puritani, basta così, Dio non voglia
dovessi turbarvi, torniamo al dunque direte voi, che c'entra questo
adesso con tutto ciò che vediamo, ebbene soddisferò le vostre curiosità,
direi che in effetti avete ragione, non c'entra niente, è stata solo
sfortuna, ma tutto, per l'appunto, è cominciato lì, nel sotterraneo della
stazione, ieri sera, erano le sette, ma questo l'ho già detto.
Lasciatemi riprendere fiato, ho la bocca asciutta.
Dunque dov'ero rimasto, si, erano le sette, ed ero alla solita
stazione, solite facce, un pò annoiato forse, quando ecco, inequivocabile, la
mia preda, o io sono la sua, lo sguardo sfuggente, mi fa cenno con gli
occhi, di entrare, abbiamo come un sesto senso sapete, non potete
rendervi conto e non so descrivervelo meglio, ci siamo capiti ancor prima di
guardarci, mi fa cenno dicevo di entrare, con lui, so cosa vuole, lo
voglio anch'io, ma sorvolerò i particolari, anche se forse alcuni di voi
potrebbero apprezzare, comunque, non abbiate timore, salterò al dopo, dopo...
Dopo, una cosa strana, o almeno inusuale, mi fa: -Aspetta! - io me ne
stavo già andando, -Non uscire, andiamo via insieme. -
Vi confesso, non so, forse chissà un presentimento, o forse,
ripensandoci adesso, forse già qualcosa di non chiaro si faceva strada nella mia testa, non ancora chiaro, poi lo è diventato, eccome!, comunque, sono
rimasto un attimo li, titubante, in fondo aveva una voce gentile, ed un
aspetto rassicurante, era sì, era più anziano di me, insomma l'ho
aspettato, siamo risaliti insieme, l'aria dopo l'odore intenso dei
gabinetti, per me un profumo, comunque vi ho già detto appariva gentile, siamo rimasti li per un pò, l'aria pungente di novembre, non abbiamo parlato,
siamo solo rimasti seduti accanto, lui si è accesa una sigaretta, io
l'ho guardato fumare.
Ripensare adesso a quella momentanea pace, mi sembra tutto così
irreale... E poi tutto è cambiato, e ora mi vedete qui, così... Ma fatemi
procedere con ordine, vi spiegherò tutto e potrete certamente capire, non
dico approvarmi, ma certo almeno comprendermi.
Dunque, erano passati pochi minuti, non ricordo di aver visto passare
treni sino a quel momento, qualcuno ci si è avvicinato, era una donna,
teneva per mano una bambina, avrà avuto cinque-sei anni, bellina,
piangeva però, chissà perché, un capriccio certamente, comunque, ci siamo
allontanati, solo pochi passi, fianco a fianco, ancora senza parlare, e
siamo usciti dalla stazione.
Alla luce dei lampioni della piazza ho potuto vederlo meglio, un uomo
piacevole direi, di mezza età, che era magro e muscoloso avevo già
potuto notarlo, mi ha preso sotto braccio, delicatamente, mi ha sorriso
mentre diceva:
-Mi piacerebbe invitarti da me, ti offro qualcosa, è ancora presto. -
Di nuovo quell'oscuro presentimento, una voce mi ha detto: Lascia
perdere, vattene a casa.
L'ho scacciata, la voce dico, anche io gli ho sorriso, che c'è di male
mi sono detto, che stupido se ci ripenso adesso, ma poi mi capirete,
chi avrebbe mai potuto immaginare!
Vi devo confessare, non l'avevo mai fatto prima, si era sempre risolto
tutto li per li, poi niente più, vi potrò sembrare strano ma è proprio
così, capirete, un conto l'oscurità, si annulla tutto, per un uomo
nella mia posizione, non ci siamo mai conosciuti, nessun pericolo quindi,
sono sempre stato prudente, ieri sera invece, aveva un'aria così
rassicurante, insomma ci siamo avviati come due vecchi amici verso la sua
auto, siamo saliti, ha avviato il motore e ci siamo allontanati.
Credo che abbiamo parlato durante il tragitto, anche se non ricordo di
cosa, niente di importante comunque, credo, ripensandoci adesso, di
essere stato un pò teso, l'occasione non era delle più usuali per me,
ricordo solo, distintamente, di avere avuto un capogiro ad un certo
punto, tanto che anche lui se n'è accorto, ha chiesto se avevo bisogno di
un pò d'aria ed ha abbassato il finestrino dalla mia parte. L'aria
fredda della sera mi ha fatto riavere, mi sono sentito subito meglio,
nonostante questo ha voluto ad ogni costo fermarsi, a nulla sono valse le
mie proteste, ad un bar che abbiamo incontrato sulla strada. Ricordo,
per la verità adesso un pò confusamente, l'ambiente dove siamo entrati,
doveva esserci già stato perché un paio di avventori l'hanno salutato
mentre passavamo, come lo conoscessero bene. Io, era la prima volta che
ci mettevo piede, non ricordavo nemmeno di averlo mai notato, prima.
Stavamo bevendo al banco, tra lo schiamazzo dei presenti, la musica di
sottofondo, il fumo e l'aria grave di odori, quando un uomo gli si Ö
avvicinato, si sono salutati, ripensandoci adesso sembrava che sapessero
di doversi incontrare, a quell'ora e in quel luogo, ma naturalmente
capirete che li per li non ci ho fatto caso, anzi ricordo di avere pensato
proprio ad un incontro del tutto fortuito. Comunque, hanno parlottato
per pochi minuti, non so dire se si fossero leggermente allontanati da
me o se ero io intento ad osservare qualcos'altro, non ho avuto la
minima preoccupazione di interessarmi a ciò che dicevano, di tutto avrei
pensato ma certamente non che stessero parlando di me.
Comunque, dopo pochi minuti l'uomo si è allontanato, non prima, di
questo sono certo, di essersi scambiati qualcosa, di soppiatto, ho potuto
solo intravedere qualcosa di metallico, rettangolare, che il mio nuovo
amico aveva lasciato scivolare nelle mani dello sconosciuto, e questi
che furtivamente lo faceva scomparire nella tasca dell'ampio cappotto.
Poi, si è voltato verso di me, mi ha come squadrato per un attimo, ha
salutato e si è quindi allontanato.
Il mio amico ha posato sul banco il bicchiere ormai vuoto, ha lasciato
una banconota, mi ha preso per un braccio e mi ha spinto verso l'uscita.
Continuava a guardarmi con un aria che avrei definito gentile, e che
ora capisco era invece volutamente rassicurante, non voleva che
sospettassi nulla.
Siamo risaliti in macchina, siamo ripartiti, non saprei dirvi come mi
sentivo, credo mi girasse un pò la testa, forse quel liquore che avevo
bevuto, una sensazione inspiegabile di irrealtà si stava insinuando
nella mia testa, giustificata, credo di poter dire adesso, solo dalla mia
particolare sensibilità, come una percezione di qualcosa solo
apparentemente normale, in realtà sinistro.
La sua casa era all'ultimo piano di un nuovo palazzo di periferia,
ricordo il lungo tragitto fatto assieme in auto, quindi la portineria,
deserta, l'ascensore con i soliti sconci graffiti. La casa, tutto sommato
accogliente, di un uomo abituato a vivere solo.
Appena entrati, ricordo che mi colpì l'odore di quella casa, di chiuso
direi, come se da molto tempo non vi fosse entrato nessuno. In realtà,
però, sembrava non dovesse essere così, dal momento che, come potei
vedere, il frigo era pieno di cibi, il bar pieno di bottiglie di alcolici.
Forse era solo l'estrema pulizia che mi dette quell'impressione,
l'ordine che regnava in tutto l'appartamento.
Da una parte dell'ampio salone, mi soffermai incuriosito ad osservare
tutto un insieme di attrezzature elettroniche tra cui riconobbi un
videoregistratore, telecamere, televisori e luci di diversa dimensione e
forma.
-Soltanto uno dei miei hobbyes -mi rassicurò immediatamente- sono anche
un discreto regista sai, un amatore, naturalmente, un giorno, chissà,
ti farò vedere qualcosa...-
Il mio ospite mi fece quindi cenno di accomodarmi sull'ampio divano,
sotto la finestra, e si avvicinò al mobile bar dove iniziò a preparare
una bibita abbondante e ghiacciata. Ricordo ancora le parole con cui me
la offrì:
-Non mandarla giù tutta insieme, è forte... Un cognac del tutto
speciale, riservato agli ospiti di riguardo, prova...-
-Non mi fai compagnia?- gli chiesi prendendo il bicchiere che mi porgeva.
-Preferisco del martini, adesso me lo preparo, tu comincia pure a bere...-
Un solo sorso del liquore mi stordì, forte davvero, con una strana
punta di amaro al fondo, che non ricordavo di aver mai sentito prima in
quella marca di liquore. Il primo bicchiere andò giù in pochi minuti, e
senza sapere come mi ritrovai di nuovo con il bicchiere colmo. Credo, non
ricordo con precisione, ma credo di aver bevuto molto ieri sera, il
bicchiere come d'incanto era sempre pieno, ed i miei sensi ad ogni sorso
si intorpidivano sempre di più. Il mio amico, al contrario, sembrava
mantenere una certa sobrietà, mi guardava con uno strano sorriso, non
parlava molto ma il suo atteggiamento era amichevole, come al solito,
rassicurante. Non saprei descrivervi il mio stato d'animo di quei momenti,
passavo da attimi di completa beatitudine a momenti in cui strani
timori, inspiegabili, mi assalivano, per subito dileguarsi nelle nebbie di
quel cognac, che cominciava a sembrarmi sempre più buono, e delle luci
soffuse di quell'appartamento, che non mi sembrava più così estraneo.
Ricordo anche che dopo qualche tempo (un'ora, due, chissà) mi si è
avvicinato, ed abbiamo diciamo così completato, o approfondito,
piacevolmente devo dire, la nostra conoscenza.
Poi, mi sono addormentato, sul divano, sprofondando in un'incoscienza
totale, ormai completamente confuso dall'alcol e da tutte le emozioni di
quella lunga serata. Ricordo solo di aver sentito la pendola battere la
mezzanotte. Poi più nulla, credo per diverse ore.
Un sonno privo di sogni, ma ugualmente agitato da fantasmi
inesplicabili.
Quando mi sono risvegliato era ancora notte fonda, probabilmente avevo
dormito due o tre ore, anche se a me sembrava di essermi assopito solo
un attimo prima. Non appena aperti gli occhi, ho avuto un attimo di
incertezza: dov'ero? un forte dolore mi attanagliava la testa, ho creduto
per un attimo di essere a casa mia, sono stato li li per chiamare mia
madre, che mi portasse un'aspirina, poi, improvvisamente, ho ricordato
tutto, la sera prima, il cognac, il mio nuovo amico.
Mi sono guardato intorno: non c'era più, almeno, non era più nella
stanza. La casa era avvolta da una fitta penombra, le luci rosse di
un'insegna luminosa, nella strada, filtravano dalla finestra socchiusa.
All'interno, il più completo silenzio.
Mi sono alzato, piano, per non aumentare il dolore alla testa, e credo
di aver barcollato un pò; poi, i miei occhi si sono abituati all'oscurità, mi sono guardato intorno ed ho intravisto una flebile luce provenire da una porta, socchiusa, che prima non avevo notato; mi sono avvicinato, cercando di non fare rumore, convinto che il mio amico stesse dormendo.
Non dormiva, invece.
Se ne stava in piedi, perfettamente sveglio, di fronte ad un tavolo
dove ho riconosciuto la telecamera che prima avevo visto nella sala,
intento in un lavoro che non saprei nemmeno descrivere, tra fili elettrici e
videocassette. Stavo per entrare quando, improvvisamente ed
inaspettatamente per quell'ora, è suonato il telefono. Potevo sentire benissimo, da quella posizione, la voce del mio amico che rispondeva:
-Pronto... si, dimmi, qualcosa non va ?- Una breve pausa -Certo, nessun
problema, tutto bene... Piuttosto, dimmi, la registrazione? L'hai
vista? Si, vieni pure, no, non preoccuparti per l'ora, ti aspetto.-
Aveva riattaccato, ed io rimanevo ancora li, un forte ronzio nella
testa indolenzita, un primo bagliore di consapevolezza si faceva lentamente
strada dentro la mia mente, possibile che...
Dopo neanche un minuto, un nuovo squillo, all'inizio mi era sembrato
che si trattasse di una sveglia, o di un timer, poi invece, era di nuovo
il telefono,deve aver abbassato la luce, perché all'improvviso non sono
riuscito più a distinguere gran che, il dolore alla testa sempre più
forte, martellante, mi sembra di vederlo di nuovo sollevare la cornetta,
la sua voce questa volta è solo un flebile mormorio, teme di potermi
svegliare, riesco ugualmente a cogliere qualche frase, frammenti di
conversazione: -Sta dormendo...- lo sento sussurrare, -...no, non sospetta
nulla...- poi, ancora: -...si, il sonnifero, una buona dose, nel
liquore... avrà una bella sorpresa...entra pure, lascerò aperta la porta, non
accendere le luci...- si tratta di me, sta parlando di me, con l'uomo
del bar, cosa si sono scambiati?, una nuova, terribile consapevolezza mi
esplode nella testa, tutto si fa chiaro, tutto era preordinato,un
ricatto certamente, ma adesso mi scuserete, l'emozione è ancora così forte,
pure vorrei cercare di spiegarvi, non sono mai stato un violento,
credetemi, anche se capisco, è difficile, vedendomi così, ma al mio posto,
voi, oh, so bene che non potreste mai esservi, ma per un attimo
immedesimatevi in me, in fondo, per la verità, non per giustificarmi, ma anche
io faccio fatica a credere che sia potuto succedere, ad un tratto, ho
sentito la mia mano stringere convulsamente qualcosa, un qualcosa di
freddo, metallico, un coltello, o un tagliacarte, non so dirvi dove
l'avessi trovato, non ricordo, davvero non ricordo di averlo preso da qualche
parte, ho sentito soltanto una rabbia infinita crescermi dentro, mi
sono sentito raggirato, peggio, non so come esprimermi, poi in realtà ad un
tratto le mie emozioni si sono confuse, non so dirvi cosa abbia
sentito, posso dirvi soltanto che era forte, fortissimo, un odio mai provato
prima.
Nonostante questo, però, ricordo con terribile lucidità tutto ciò che è
accaduto nei minuti successivi: ho aperto la porta, lentamente, ho
cercato di avvicinarmi in silenzio, lui infatti non si era accorto di
niente, aveva già riattaccato il telefono, anche se non l'avevo visto farlo,
comunque non stava parlando più, gli ho posato, delicatamente, una mano
sulla spalla, l'ho sentito trasalire, non se l'aspettava, un lieve
sobbalzo, poi si è girato verso di me, e mi ha visto: credo che la mia
faccia esprimesse molte cose, deve essersi spaventato:
-Ehi, che ti prende... mi hai fatto paura...-
Mi guardava con aria interrogativa, forse ancora sperava che non mi
fossi accorto di nulla, che non l'avessi sentito, ma deve aver capito
tutto poco dopo, almeno a giudicare dalla sua espressione, ha visto quello
che avevo in mano, ha cercato di allontanarsi ma l'ho raggiunto, prima
solo un mugolio sommesso, poi, i colpi successivi, ha cercato di
urlare, ma sono riuscito a colpirlo più forte, al collo credo, alla gola,
molti colpi, vedevo i suoi occhi guardarmi, con quell'ipocrita espressione
interrogativa, sperava forse di potersi ancora salvare, possibile che
non avesse ancora capito?
Poi l'ho sentito cadere, ai miei piedi, un tonfo sordo, infine, l'immobilità.
Ora sapete tutto. Ho sbagliato, certo, questo lo so, non dovevo fargli
del male. Non ho mai fatto del male a nessuno, prima. Mi sento come se
fossi stato accecato. Sento la testa che mi scoppia.
Forse, sarebbe potuto succedere a chiunque. Di perdere la testa, dico.
Vedo un'espressione interrogativa nei vostri occhi... C'è qualcosa che
non vi è ancora chiaro? Ho capito, vi state chiedendo che cosa stia
facendo ancora qui, al buio, in silenzio, ancora tutto imbrattato...
Ebbene, sto aspettando.
Cosa aspetto, dite?
Il suo amico, l'uomo del bar, ha detto che gli avrebbe lasciato la
porta aperta, ed infatti lo è, l'ho aperta io, pochi minuti fa.
Devo parlargli.
Ma, prima che arrivi, vi prego, se vi è possibile, c'è qualcosa che
ancora non riesco a capire: io non ho mai creduto che certe cose
fossero possibili, pure non sto mentendo, potrei giurarvelo, so di averlo
ucciso, ne sono certo, eppure, ho persino timore a dirvelo, non vorrei che
mi prendeste per pazzo, mi ha parlato, davvero, l'ha fatto, pochi
attimi fa, aveva una voce gentile, come prima, ma stavolta mi è sembrato
sincero, sussurrava appena, come poco prima, quando aveva risposto per la
seconda volta al telefono, ho dovuto avvicinare l'orecchio per poter
distinguere le sue parole, ha detto di avermi perdonato, lo ha
riconosciuto, è stata sua la colpa di tutto questo, ha ammesso tutte le sue
responsabilità, non avrebbe dovuto farlo; questo mi ha un pò rasserenato,
pure, non riesco a capire, come ha potuto parlare?
Ma ora vi prego, rimanete con me, qui, in silenzio, sento dei passi
avvicinarsi, certamente è lui, viene per incontrarsi col suo amico, ecco,
la porta si sta aprendo, è lui, lo riconosco, non respirate nemmeno,
potrebbe sentirvi...


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Calibro 45

Salì le scale buie in legno addossato alla parete sudicia ed umida, quasi appiccicatovi, per non far scricchiolare i gradini. Giunto al secondo piano, rimase qualche secondo davanti al corridoio immerso in una semi-oscurità in silenzio, immobile, cercando di trattenere il respiro affannoso. Da sotto la seconda porta a destra filtrava della luce, e da lì provenivano risate grasse e voci rauche. C'era un forte odore di alcool misto ad umido e muffa. Aprì il tamburo della sua "45" per controllare di aver inserito tutti i proiettili: ce n'erano sei, tanti quanti erano stati i poveri depositari orrendamente uccisi da quei quattro bastardi alla National Bank. Richiuse la rivoltella con un secco scatto metallico. S' avvicinò alla porta, e rimase in ascolto. Sentiva le voci di quattro uomini, e sperò che non vi fossero ulteriori complici addormentati. Da un tavolino lì, vicino a lui, nel corridoio, prese un vaso di fiori. Rovesciò fiori ed acqua nel cassetto e si parò davanti alla porta. Il cuore gli tamburellava forte in petto e le vene dietro la nuca e sulle tempie gli pulsavano. Tirò un lungo respiro, poi sfondò la porta con un calcio. Mentre tirava il vaso contro la finestra, scaricò due colpi sul primo dei quattro, che allo schianto aveva messo mano al mitra. Poi, gettandosi a terra, ne fece secco un altro. Gli altri due s'erano girati distratti dalla rottura della finestra, ed avevano perso secondi preziosi. Nella caduta andò a sbattere la testa contro un tavolino, che gli cadde addosso. Lo prese per una gamba e lo tirò in faccia al terzo uomo, mentre con un altro confetto della sua Colt apriva un buco nello stomaco del quarto che gli stava sparando addosso con una Smith&Wesson. Rialzatosi, vide quello a cui aveva lanciato il tavolino cercare di estrarre la calibro trentotto dalla fondina appesa alla testiera del letto. Un colpo lo freddò in piena fronte. Quando il fumo ed il rumore degli spari si furono diradati, sentì un gemito provenire da quello colpito al ventre. Senza pensarci su, gli diede i colpo di grazia in mezzo agli occhi. Prima di uscire, ricaricò la pistola. Poi raccolse da terra la bottiglia di whisky caduta dal tavolino, e ne bevve una robusta golata. Faceva schifo, ma almeno aveva dell'alcool da far scendere nelle budella. Uscendo, si girò a guardare i quattro cadaveri in mezzo al fumo degli spari. -Bastardi- mormorò, prendendo la porta. Ai clienti dell'alberghetto che si sporgevano timorosi dalle porte delle loro camere mostrò la tessera del suo circolo degli scacchi: -Sono un ispettore di polizia, circolare. Non c'è nulla da vedere, tornate sotto le coperte a dormire, brava gente-. Sceso al banco della reception, se così la si vuol chiamare quel bancone di legno di pino sverniciato, chiese un telefono. Per allontanare la curiosa padrona che pareva interessata ad ascoltare, posò sul bancone la "45" con un forte tonfo, e quella si defilò. Chiamò la polizia, quella vera, dando l'indirizzo. Riappese senza dire nessun nome, e uscì per la strada. Aveva cominciato a piovere. Si alzò il bavero della giacca, si calcò in testa il cappello e si reinfilò la Colt nella fondina sulla natica destra. Odiava portare la pistola sotto l'ascella, dava fastidio ed era lenta da estrarre. Attraversò la strada bagnata, scalpicciando fra le pozzanghere, zoppicando senza accorgersene, ed andò ad infilarsi in un bar lì di fronte. Si fece servire una tazza di caffé fumante da una piccola cameriera carina, con un seno procace e un gran bel sederino. Aspettò di veder arrivare le macchine della polizia. Poi raccolse il cappello, e fece per andarsene quando si sedette al suo tavolo l'avvenente camerierina con la brocca del caffé. Gli ririempì la tazza e si sedette a guardarlo. Era molto giovane, forse diciotto anni, bionda, molto carina e con un fisico da venticinquenne. -Dove hai la macchina, grand'uomo?- gli chiese lei. -Qui fuori, bambola. Hai forse bisogno di un passaggio a casa?-. -Fino a casa tua, se ti va-rispose maliziosa solleticandogli con un piedino nudo la caviglia destra. Lui provò dolore, e solo allora si accorse che forse se l'era distorta buttandosi in terra. Non aveva più l'età per fare certe acrobazie. -Io non ho casa, piccola-rispose ingollando il liquido nero e fumante. -Io si, vagabondo- replicò piccante lei -Se ti va, puoi dormire da me, stanotte-. Non era una novità, per lui. Non aveva davvero una casa, e ogni notte doveva trovare un posto per dormire, o era costretto a rannicchiarsi sul sedile posteriore della sua Chevrolet. Uscirono mezz'ora dopo, quando lei finì il turno. Lui le porse la sua giacca, che lei si mise sulla testa. Notò così la rivoltella nella fondina. Corsero sotto la pioggia fino alla macchina, la caviglia ora cominciava a dargli fastidio. Quando furono tutti e due dentro l'abitacolo, lui era fradicio dalla testa ai piedi. -Sono zuppo fino dentro al midollo-sbuffò. Lei appoggiò le proprie labbra umide sulle sue. Aveva le labbra calde, e una lingua sinuosa ed eccitante. -Ci penserò io a scaldarti- disse poi. Lui si fece guidare fino a casa di lei, e parcheggiò davanti al portone. -Non puoi lasciare la macchina qui- gli disse lei, scendendo. -Che ci provino, a portarmela via- ribatté secco lui, battendo la mano sulla fondina. Abitava al terzo piano, presero l'ascensore dove si scambiarono un lungo bacio appassionato e fecero conoscenza dei rispettivi corpi. Entrati nel piccolo appartamento, lei si diresse in camerada letto, ed entrò nel bagnetto attiguo. Lui cominciò a spogliarsi. Estrasse la pistola dalla fondina e la infilò sotto il cuscino; era un vecchio trucco che gli avevano insegnato tanti anni d'esperienza. Quando lei uscì dal bagno, indossava soltanto un eccitante profumo ai frutti esotici. Aveva un corpo splendido, statuario. I seni sodi ed eretti, un fisico sportivo scolpito, ed il bacino prominente con quel piccolo triangolo nero in mezzo alle gambe era un invito ai pensieri peggiori che possono passare per la testa di un uomo. Era solo una ragazzina, ma su quel letto gli dimostrò come quel corpo lo sapeva usare molto bene. Al mattino si destò svegliato dal passaggio di un rumoroso camion nella via di sotto. Si girò, e vide il corpo nudo della ragazzina. Era difficile pensare a lei come una giovinetta di quell'età dopo quello che aveva saputo fare quella notte. L'aria della stanza era stantia, e puzzava di sudore. Si alzò e si rivestì. Quella gattina selvatica si era rivelata davvero una viperetta, e gli aveva lasciato un bel segno, tre profondi graffi sulla spalla destra con quelle unghie da felina. Si sciacquò al lavabo, non aveva di che radersi. Sfilò la "45" da sotto il cuscino, e se la infilò di nuovo nella fondina. Poi prese dalla tasca interna della giacca il portafogli, ed estrasse tutte le banconote che aveva, tenendosi solo venti testoni. Infilò gli altri sotto una bottiglia. Prese il whisky e ne bevve due bicchieri. Questo era davvero buono, la piccola alcoolizzata ci sapeva fare in fatto di Scotch. Rimise la bottiglia sopra le banconote, raccolse la giacca ed uscì. La ragazzina dormiva ancora. Sceso in strada, trovò un ragazzotto con un berrettino in testa che con del fil di ferro cercava di scassinargli la portiera della Chevrolet. Con un calcione ben sferrato gli fece volar via l'armamentario dalle mani, ma gli fece male la caviglia; poi con un cazzotto in piena faccia lo stese sul marciapiede. Se lo caricò in spalla, svenuto, e lo scaraventò in un cassone dei rifiuti. La spazzatura va buttata al suo posto, si disse. Poi risalì in macchina, ingranò la prima e se ne andò. Cominciava ad essere stufo, dopo tanti anni, di portare giustizia in giro ammazzando luridi delinquenti e fare all'amore. Ma che altro aveva da fare? Erano le cose che gli riuscivano meglio.

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