LA FAVOLA DI MARISA
L’abito da sposa sistemato sul divano, le scarpe della cerimonia a portata di letto, la lista degli invitati riletta per l'ennesima volta. Ormai era davvero tutto pronto. Tra poche ore avrebbe realizzato il sogno di sempre.LA FORZA DI PAOLA
Quattro anni fa incontrai per il Pavaglione una vecchia compagna diL'ombra
Su per le colline, lontano dalle case, oltre i limti del paese, fuori degli ultimi casolari dell'abitato, superate le cascine e gli orti, ai margini dei campi coltivati, fra i boschi ombreggianti recanti frescura, la gente sapeva che si aggirava un ombra d'amante, che non faceva paura, ma recava con sé passioni, ardori, pulsazioni. In mezzo agli alberi, vagando fra le fronde, spingendosi quasi fin ai margini dei luoghi popolati, addentrandosi nei menadri della foresta, fra incantati ruscelli, soleggiate radure, magici sentieri brillanti dei raggi solari che filtrano fra le foglie rade, viveva quest'uomo, la cui dimora, giusto in senso nominale, era una piccola capanna proprio al centro del complesso alberato, dal cui comignolo però non usciva mai fumo, la cui legnaia non si svuotava mai, nel cui orticello crescevano i fusti di piccoli alberelli. Egli viveva nel bosco, egli viveva il bosco stesso. Aggirandosi in affascinanti vesti adamitiche, faceva sfoggio privo d'ogni vanità della sua forma scultorea, dei suoi muscoli statuari, del suo volto dai lineamenti classici, del suo portamento policleteo; pareva di veder vagare, fa i cespugli e le felci del delicato sottobosco il David scolpito dal mastro Michelangelo Buonarroti in quel di Fiorenza. La sua dimora era per lui solo una comoda biblioteca. Nessuno sapeva dond'egli provenisse, dove fossero i suoi natali, di dove avesse ereditato la sua cultura di base, il leggere lo scrivere ed il far di conto, ma fatto sta che lui era li, e tali doti aveva. Tutto aveva imparato dai libri, che gli venivano portati dalle donne del paese assieme a tanti altri doni. Lui si concedeva senza remore, privo di pudore, serenamente bucolico ad esse, e loro lo ricambiavano in vettovaglie, vini, profumi, unguenti, ma soprattutto libri, che egli bramava, unica cosa del resto per cui egli provasse vero desiderio. Era diventato tante volte dottore, professore traendo scienza da quei libri. Era un grande matematico, un dotto filosofo, un eccelso grammatico, un geniale scenziato, un inventivo ingegnere, un avvolgente amante, tutto grazie al volume di sapere che egli stillava dalle pagine che gli si consegnavano. Egli, inconsciamente, si donava assai di più alle donne che gli recavano in dono i preziosi volumi, e sempre più spesso aveva ricevuto in dono le sue fonti del sapere. Egli andava a sedersi sulla cresta delle colline, sui cigli dei burroni, e si sprofondava nella lettura affascinante di quelle pagine ricche e trasudanti di sapere. Dai libri aveva imparato ad amare, fisicamente e spiritualmente. Dalle pagine degli orientali Kamasutra e Tantra aveva imparato a donare alle sue compagne un piacere profondo, viscerale, che sapeva andare oltre la sensazione fisica e sublimava nell'etere della spiritualità. Dagli scritti filosofici occidentali, soprattutto dalle pagine di Platone, aveva imparato l'amore etereo, impalpabile, sublime, elegante, irraggiungibile. Da molto tempo egli donava il proprio corpo alle avveneti del paese, donne con marito, fanciulle da sposare, vergini illibate, ma tutte assolutamente bellissime e giovani. Esse, da sole, riconoscevano quando non meritavano di andare a ricevere dall'Ombra della passione il piacere che fa urlare. Egli dava tutto se stesso fin dai primi periodi adolescenziali, quando ancora la barba non rendeva ruvido il suo volto. In principio le donne cercavano l'innocenza vigorosa, il giovenil ardore che le infiammava, poi, con gli anni, trovarono l'esperienza e la maturita di un corpo ed uno spirito ancor tuttavia molto giovani. Egli, da parte sua, riceveva le visite con piacere, si dedicava alle sue compagne con sincerità, trovava egli stesso giovamento dal provocare in esse tali piaceri carnali. Da esse veniva accudito, rasato, nutrito, spalmato di unguenti e cosparso di profumi, curato se si feriva, per non intaccare e mantenere immacolata quella figura statuaria che era per loro l'evasione più completa dal loro mondo. Quando erano con lui, anch'esse dovevano lasciare i loro indumenti ai margini del bosco, e con lui vagavano nude, si accoppiavano dove capitava, tornavano a correre e giocare, per poi unirsi di nuovo a lui, magari fra le fronde arrampicati su un albero o fra i mulinelli di un fresco torrente. Egli le allietava con dotti discorsi o tenere poesie, non sfoggiava la propria possenza fisica se non durante l'atto sessuale. Le donne gli passavano incantate le mani fra i fluenti capelli color della corteccia di noce, si perdevano negli occhi smeraldi color delle frasche dei rami degli alberi, accarezzavano quel volto soave e privo di curruzioni mondane. Finito il loro tempo nella foresta, si rivestivano e tornavano chine e a testa bassa in paese, alle loro mansioni, a scottarsi con le stufe roventi o ad accudire i bamnbini, pronte ad essere battute dai mariti se tardavano, i quali sapevano tutti benissimo che la loro moglie, quando loro non c'erano, andavano a trovar soddisfazione dall'Ombra dell'Amore. Più d'una volta s'era cercato di trovarlo, scovarlo, snidarlo, ma le battute feroci di rastrellamento non erano neppure riuscite a raggiungere la casetta al centro del bosco, perdendosi fra gli intrichi della vegetazione nodosa. Una mattinata serena, fra il cinguettio sereno degli uccelli e lo stridere delle cicale, s'avvicinò ai margini del bosco una graziosa fanciulla, non più grande d'una quindicina o forse sedici primavere, una lunga gonna e una camiciola, i capelli chiusi da un fazzoletto legato dietro la nuca, i piedini scalzi che correvano sull'erba, recando chiuse dento il grambiule alcune fasciate di erbe d'aroma e di medicina. Dagli alberi dentro il bosco, egli la vide. "Una graziosa fanciulla giovanissima viene in per di qua", pensò, "un'altra giovin pulzella illibata che cerca la sua verginità da perdere. Peccato rechi con sé solo aromi". Quand'ella, correndo rasente il confine degli alberi, vi si avvicinò un po' di più, si sentì chiamare:"O giovin donna! Lascia i tuoi indumenti ai tuoi piedi, e vieni pure all'ombra fra la verdura de' gli alberi". Ella, spaventata, scartò verso valle lungo la sua corsa, poi si fermò e cercò di guardare attraverso la penombra fra i rami. Egli si avvicinò di più al margine del bosco, ed ella lo vide, completamente privo d'ogni abbigliamento. Si spaventò, e portando le mani alla bocca lasciò cadere le erbe che recava nel grembiule. "E' un peccato che non mi porti alcun libro, ma vieni pure, le tue erbe sono ben accette e mi rendono felice. Accomodati fra le fresche fronde di questo bosco, e scegli pure l'ameno luogo ove io potrò recarti il tuo primo piacere". Ella, frastornata, rimase come incantata a guardarlo. I suoi occhi rimasero fissi a guardare, estasiati, la bellezza del viso, la profondità dello sguardo, e non scesero al di sotto. Poi, come svegliatasi da una catalessi, si scosse, e, raccogliendo da terra le sue erbe, corse via. L'ombra rimase molto confusa, non gli era mai accaduto nulla del genere. Si chiese chi fosse quella fanciulla, e perché mai era scappata, cosa mai lui poteva aver detto, o fatto, per portarla alla fuga. Quella dolce figura, quella piccola ragazzina gli rimase indelebile nella mente, come inserita in una dimensione soave, chiara e fresca nella sua innocente gioventù. In tutto quel giorno ricevette alcune visite dalle donne, ma, pur senza darlo a vedere, era assente da loro. La chioma rossa che ondeggiava su quel volto ansimante durante l'amplesso si trasformava nei capelli neri e lisci della bella fanciulla. Quei seni abbondanti e vogliosi di palpeggiamenti che si denudavano all'entrata della foresta apparivano i piccoli seni tondi e pudìchi su quel giovane petto. Il grembo lussurioso e orgasmico entro il quale lui faceva provar piacere alla sua compagna diveniva la piccola vergine virtù impenetrata della ragazza soave. Il giorno dopo, alla stessa ora, recando un grosso volume con sé, egli andò a sedersi nel luogo dove il giorno prima aveva fatto quell'incontro che lo aveva turbato. Immerso nella lettura, non si accorse che, dietro un cespuglio, la giovinetta era ritornata; lo guardava, lo esplorava con gli occhi. Non aveva mai visto un uomo nudo, prima d'allora. Come una giovane esploratrice, sondava quel corpo mai visto prima, osservava quelle parti che di nessuno aveva visto mai. Passò parecchio tempo, il sole si era alzato nel cielo fino al mezzodì, quando sentì un fruscio da valle. Ai piedi della collina stava salendo, di corsa ed ansimando, una giovane moglie del paese, con un cesto coperto da un panno sotto braccio. Arrivata al bordo del bosco, dov'egli leggeva, gli porse il cesto e cominciò a spogliarsi. All'ora di pranzo e di cena erano gli unici momenti in cui gradiva di più buon grado un cesto di vivande piuttosto che un trattato di logica aristotelica. Cavò il tappo dalla bottiglia, e bevve di quel buon vino di quelle terre. La donna, giovane e con le braccia e i muscoli di tutto il corpo robusti, di chi lavora nei campi, si spogliò mostrando un corpo arrossato e sudato. Lui lasciò in terra cesto e libro e, prendendola per mano, si fece condurre nel bosco. Ella lo fermò poco dopo, e lì si unirono. La ragazzina, da dietro il cespuglio, distingueva solo delle sagome abbracciate che ansimavano e spingevano con la parte del bacino l'una contro l'altra, appoggiate contro il tronco d'un ombroso castagno. Poco dopo la donna riuscì dai rami, si rivestì e corse di nuovo giù fino al sentiero, e poi verso il paese. Lui, imperlato di sudore che rendeva ancor più visibile il contrasto chiaroscurale sui suoi possenti muscoli, si sedette a gambe incrociate con a fianco il cestino, ed iniziò a mangiare. La ragazzina si accorse solo allora del tempo che era trascorso, e, timorosa delle punizioni che avrebbe subito, tornò di corsa giù sul sentiero, correndo poi dalla parte opposta da cui era venuta la donna. Egli la vide, e fece per chiamarla, ma lei corse via senza fermarsi, e non poteva più udirlo. Il giorno dopo, ella tornò, e lo rivide a leggere sull'erba. Presto, prima del giorno prima, arrivò un'altra donna, che si denudò e si addentrò con lui nel bosco. Andarono però più all'interno, e lei non poté più vederli. Lui, anche questa volta, accoppiandosi animalescamente con questa donna che aveva perso ogni senso di pudicizia, immaginava il giovane sederino, le gambe sode della ragazzina piegarsi sotto di lui, e, cieco verso la donna che stava montando, immaginava di sentir fremere sotto di lui il corpicino intoccato della fanciulla. Lei, accortasi che erano entrati assai fra le foglie e le felci, si avvicinò timorosa al luogo dove lui prima sedeva, e guardò il libro che leggeva. Ella era istruita, conosceva il latino, e riconobbe il titolo d'un dialogo socratico riportato da Platone. Quando sentì che i due coitanti tornavano, tornò a nascondersi dietro il suo cespuglio. Quando fu che la donna se n'era andata, ella tornò a guardare il suo uomo imponente e bello. Egli sapeva che ella stava celata da qualche parte, ad osservarlo, e ne era turbato. Era un turbameto che gli provocava una strana ansia, un batticuore forte, ed un senso di svuotatezza ch'ella riempiva: non riusciva a pensar ad altro che alla fanciulla. Fattasi un ora e metà dopo il mezzodì, egli non aveva ancora vista la fanciulla fuggir via, e pensò che potesse aver fame. Lasciò dunque le vettovaglie recategli in dono distese sul panno che copriva il cesto, e tornò nel bosco. La ragazza, spinta dalla fame che cominciava ad attananagliarle lo stomaco, s'avvicinò quatta e di soppiatto alle vivande, e, con grande circospezione, con il cuore che le batteva forte, allungò la mano per prendere la pagnotta bianca. Ma, nell'istante stesso in cui lei toccava il pane, una mano grossa le avvinghiò il polso senza forza, col delicatezza ma decisione. Da dietro il tronco d'un albero egli venne fuori, e fece scorrere le sue dita prendendole la mano lasciando il polso. Ella tremava tutta, ed allora, con voce pacata, serena e rassicurante, egli le disse:"Chi sei? Noi non ci conosciamo, ma tu hai fame e vieni a prendere il mio cibo. Prendi, mangia pure. S'anche per una mezza giornata non mi nutrirò, non ne risentirò, anzi, sarò felice d'aver lasciato il mio pane ad una dolce ragazza come te. Qual è il tuo nome, o bellissima fra le fanciulle?". Ella con uno strattone si divincolò dalla mano di lui, ma non scappò e rimase li, in piedi davanti a lui, con la pagnotta in mano. "Non importa", la tranquillizzò, "mangia pure". Ella non si mosse. Allora lui si sedette, appoggiato al tronco dell'albero, e la invitò a fare altrettanto. Timorosa e con ritrosia, ella s'inginocchiò , poi si sedette con le gambe distese. Senza proferir un verbo, e senza smettere di guardarlo, addentò la pagnotta e ne mangiò. Lui rimase a guardarla, estasiato dalla sua bellezza. Aveva un viso così candido, pulito, bello. Preso dalla sua fantastica magnificità, trasportato dall'immagine di lei, cadde assopito. Ella, finito di mangiare, rimase ad osservarlo sdraiato. Senza accorgersene, gli era strisciata vicino, ed ora il suo viso era sopra quello di lui. Il suo respiro era lento, la sua bocca aveva le rosee labbra serrate. Ella si fece più vicina, sempre più vicina. Poi, con le sue labbra sfiorò quelle di lui, infine ve le appoggiò. Chiuse gli occhi, e rimase così pochi secondi che per lei furono infiniti millenni. Poi lui si scosse, e lei scattò in piedi. Sollevò la gonna sopre le ginocchia, mostrando i bei piedini e le belle gambe snelle e dritte, e corse via velocemente. Lui si era accorto che lo aveva baciato, o forse no. Era strano, non si era mai sentito così insicuro. Il sole tramontò e risorse, e ventiquattro parti del giorno trascorsero da quando lei era arrivata ad acquattarsi fra i cespugli, che lo rifece di nuovo. Osservò lui inoltrarsi nel bosco con una giovine ragazza, di pochi anni nata prima di lei, li sentì gemere entrambi, e poi li vide sdraiarsi nudi lì davanti a lei, finché la giovane donna non si rivestì e se ne andò, lasciando due piccoli libriccini. Non appena quella si fu allontanata, la ragazza si alzò e si diresse verso di lui. Si sedette sulle ginocchia, pochi metri davanti a lui, e, sforzandosi di sorridere, disse "Il mio nome è Laura". Lui si alzò, e le venne vicino. A lei batteva fortissimo il cuore, aveva timore ed emozione, ma non si mosse. Lui le prese la mano, se la portò alla bocca e la baciò. "Sono felice di conoscerti Laura. E ancor più lieto rende il mio cuore l'udir la tua dolce favella". Ella lo guardò. Non riusciva a conciliare questi modi eleganti, sublimi, con i quali nessuno le si era mai rivolto, con quella stupenda nudità, con la quale alcuno si era mai presentato a lei. "Qual è il tuo nome, ragazzo?" fu la domanda che lei, dopo tanto fremere, riuscì alla fine a trovare il coraggio di pronunziare. Lui si sentì strano. Sentì come una fitta allo stomaco, come un burrone sotto il cuore, come una voragine che avesse inghiottito la sua mente. Nessuno gli aveva mai posto questa domanda, nessuna donna che aveva mai incontrato. Lui non aveva un nome, non ne aveva mai avuto bisogno. Ella lo vide sconvolto. Pur temendo, con la paura che le faceva saltare il cuore in gola, prese la sua mano, come lui aveva fatto con quella di lei, e gliela baciò sul dorso. Poi la baciò anche sul palmo, e sulle dita, e sulla punta d'ogni dito. A lui nessuna aveva mai dedicato tali carezze, sempre lui aveva fatto andare alla follia le donne con queste dolcezze. Egli si sdraiò, e la tirò a se. Ella si accovacciò accanto a lui, poggiandogli la testa sul petto. Rimasero lì a lungo, senza dirsi nulla guardandosi negli occhi. Lui le accarezzò i capelli color dell'ebano, che riflettevano al sole, e le accarezzò il volto, il bel nasino, la bocca dolce, gli occhi luccicanti. Poi lei si spinse in su, ed appoggiò le sue labbra di nuovo sulle sue. Questa volta sentì però le labbra di lui schiudersi, e sentì la lingua con cui egli accarezzava la sua. A questa nuova sensazione, ritrasse la testa, spaventata. Ma egli le prese la mano, come per rassicurarla, come per dirle "si fa così". Allora lei riappoggiò le sue labbra, e con la sua lingua accolse quella di lui. Poi tornò ad appoggiare la testa sui suoi muscoli pettorali, sviluppati e sodi. Con la punta delle dita, cominciò ad accarezzarlo. Lui, al primo tocco, provò un senso di accapponamneto alla pelle, un emozione strana. Innumerevoli volte era stato palpato in tutto il corpo da altrettante donne, ma quei timidi sfioramenti, quelle carezze innocenti ed esplorative lo emozionarono. Sfiorò i suoi muscoli, con la punta delle dita sentì ogni centimetro del suo corpo, e provocò in lui piaceri che trascendevano la fisicità, e che lui non aveva mai provato. Turbato e confuso, egli le discostò delicatamente la testa, e si alzò in piedi. Lei si alzò in ginocchio, e poi si alzò anch'ella. Lui non disse nulla, non si mosse. Poi lei si portò le mani dietro la schiena, e con un rapido gesto slacciò la gonna che con un fruscio cadde a terra. Si slacciò anche la camicia lunga, e la lasciò cadere in terra. Ora era nuda, davanti a lui. Quel piccolo corpicino, intoccato, invulnerato, impenetrato stava nudo ed esitante ai margini del bosco. Tremava, non sapeva perché si era tolta i vestiti. Non sapeva cosa fare, non aveva parole da pronunziare. Lui allungò una mano , lei la prese. Poi si diressero verso l'interno del bosco. La penombra era trafitta da allegri raggi di sole, e uno zefiro soave faceva frusciare armonicamente tutto quanto il verde. Camminavano a piedi nudi su un morbido manto di muschio. Alla fine, giunsero in un amena radura, un ruscelletto gorgogliante, il cinguettio dei passeri, un tappeto di fiori fra l'erba. Ella s'addentrò in punta di piedi fra i fiori, poi si girò a guardarlo. Con uno sguardo dolce lo chiamò a se. Quando le fu vicino, egli si sentì emozionato, una sensazione che mai neppure da vicino lo aveva mai sfiorato. Lei, parlando con un leggero soffio, sussurrando piano, gli disse di fare con lei quello che faceva con le altre donne che entravano nel bosco. Egli provò una grande paura, ma al contempo una gioia, una trepidazione, e un ardore e una ritrosia, si sentiva come se fosse alla prima esperienza d'amore, e neppure ricordava lui la sua prima, quando una bella donna lo aveva preso giovinetto e aveva fatto di lui il suo strumento di piacere. Lei lo abbracciò, come aveva visto fare dalle ombre che si addentravano e gemevano con lui, e lo baciò di nuovo. Egli allora la fece sdraiare, e poi si chinò su di lei. Furono travolti da una passione pura e pudìca, un piacere intenso ed avvolgente li percorse. Poi giacquero distesi affiancati, felici come non erano mai stati. Rimasero tutta la notte, e tutto il giorno seguente, in quella piccola radura. Egli, con dolcezza e provando per lei quella sensazione per lui nuova che lo riempiva, lo struggeva, lo sconvolgeva, l'addestrò a tutti i segreti del dare e ricevere piacere, le insegnò ogni piccola tecnica per procurarsi piacere toccandosi da sola, l'arte del coito e del masturbo divennero in lei specialità. Ella era piena di lui, sentiva nei suoi confronti una pienezza ed un'impossibilità a lasciarlo, ed aspettava con ansia ogni suo gesto, ogni suo sguardo. Durante le carezze, aspettava con bramosia il momento del piacere, e durante l'amore attendeva l'istante che seguiva il coito, quando si abbracciavano lieti e si guardavano negli occhi. Ella non voleva che lui smettesse di procurare il piacere che dava a lei alle altre donne, ma lui non sentiva più verso di loro l'istinto animalesco che prima lo spingeva. Provava ribrezzo al solo pensare ad una donna che non fosse la sua Laura. Ella gli diede un nome. Lo battezzò Silvio, in onore della foresta dove era la sua dimora. Ed ora , era diventata dimora anche per lei. Non tornò mai più da dove proveniva. E nessuna andò più a trovare il piacere, nei boschi fra le colline. Solo Laura poteva godere dei piaceri che quell'uomo poteva farle provare. Ed in più, solo lei, e lei per prima, poteva avere e dargli appieno anche quel sommo sentimento che li struggeva, quella sensazione di cui entrambi erano stati digiuni prima del loro incontro. Era finalmente fra loro due un vero, grande, immenso, universale Amore.Mon Chery
Corso Vittorio Emanuele è una bella via per un centro città: soleggiata, alberata con delle pittoresche querce secolari e ombrose che adornano i giardini dei controviali. Ai lati palazzoni signorili, portici lussuosi, boutiques chic, ristoranti annoverati sulle guide michelin, un negozio di forniture militari che forse stona un po', ma varia. E' orientata nord-sud: a nord sta Piazza XX Settembre, un bel parco, una chiesa barocca, ombreggiata, fresca, allegra, piena di simpatici piccioni; a sud si perde nel dedalo di viuzze del centro. Dalla parte a mezzogiorno, gira l'angolo col sole alle spalle una graziosa silhouette. Passo svelto e deciso, testa ritta, sguardo attento e luccicante. Alla curva una folta chioma di capelli neri sventaglia mossa anche dal vento, ricade leggera sulle spalle nude. Dall'estremo a settentrione, svolta una sagoma illuminata in pieno da davanti. Sguardo dritto, cipiglio fiero; testa ciondolante da un lato, mano fra i capelli folti; camminata rapida e ritmata. Lui procede sul lato che per la sua direzione sta a sinistra. Lei cammina svelta sotto i portici che le stanno a destra. Sul lato est del corso, non si incontrano, si passano a fianco senza fermarsi. Ma si notano. Lui riconosce in lei un atteggiamento già visto. Lei si perde ad osservare il suo sguardo penetrante. Ma passano oltre, procedono, si superano. La sera, lui svolta l'angolo sud, lei gira da Nord. Camminano sul lato ovest, la luce del tramonto imporporisce con riflessi ambrati e aranciati la parte est di corso Vittorio. Si rincrociano, si riguardano. Non si ignorano. "Scusi, mi saprebbe dire che ore sono?": lei al polso chiaro in contrasto sulla pelle abbronzata non porta l'orologio. Lui neppure. Dalla pochette del gilet tira fuori un orologio da tasca in argento. "Sono le sette e mezzo, Cherie". In francese; quanti anni sono che non sente chiamarsi "mia cara" nella lingua di sua mamma. Oh, a ricordarlo, quanto era stata presa in giro a scuola. Accidenti a quel discolaccio che le tirava sempre le treccine! Aveva sentito sua mamma chiamarla in quel modo, e da quel giorno non l'aveva più mollata. Oh, che tipo quello! Tutto dondolante sulla sua camminata, sempre le mani a massaggiarsi il cuoio capelluto come se stesse a scervellarsi per sfornare un'altra delle sue marachelle. Che bischero, lo definiva la maestra. Toh, guarda quell'uomo. La mano fra i capelli, la camminata il cui tempo sembra segnato da una banda. Ma... no, non è possibile! "Scusi..." accenna. "Peccato che tu ti sia sciolta le trecce, ma come stai bene così!" pronuncia lui; e il suo tono è così dolce. Lei spalanca gli occhi e si mette a ridere. "No, sei proprio tu!". "Beh, lo sdoppiamento della personalità è genetico nella mia famiglia, ma penso di non averlo ancora subìto, almeno per il momento" ribatte lui con un sorrisino ironico. Si mettono a ridere allegri. Si prendono per mano, due bambini in fila fuori dalla scuola, si dirigono verso il ristorante.Serena
Era molto caldo, quel pomeriggio di primo agosto. La gente sudata tagliava camminando distrattamente la canicola dell'aria torrida delle vie. Nei dehòrs dei locali qualche membro della folla estiva che popola il paese si concedeva un meritato attimo di frescura. Davanti ad un elegante bar sotto i freschi portici del pittoresco centro storico, seduto ad un tavolo, stava accomodato un elegante signore dai gesti compassati. A prima vista non lo si avrebbe notato più dei tanti giovani neo-smart che si concedono le vacanze lontano dai centri di turismo. Ma a osservarlo solo un poco, si vedevano i particolari che facevano la differenza. L'eburnea camicia immacolata, pur indossata senza cravatta, non presentava una piega, ed i polsini, lontani dall'essere abbottonati col giro, erano raffinatamente appaiati e chiusi da due paia di stupendi gemelli che, a osservarli con attenzione, risultavano essere d'oro. La giacca, d'un nobile verdone, aveva un taglio su misura eccelso, molto fine, come i pantaloni dall'ormai tristemente superato risvolto che conferiva un tocco di classe cadendo su due scarpe di tomaia italiana dalla forma antica molto signorile. La persona non era certo tale da girare la testa quando gli si passa davanti, ma a soffermarsi giusto quel poco su di lui si subisce l'effetto d'uno strano fascino. I capelli tagliati alla militare non toglievano nulla all'aria aristocratica, anzi, denotavano una schiettezza d'animo che si rifletteva sul fisico; il volto duro, dai lineamenti marcati, attirava gli sguardi sugli occhi profondi, dallo sguardo intenso e raggelante, ma veloci e scattanti, attenti a scrutare ogni minimo dettaglio. L' atteggiarsi meditativo apparentemente distratto ed assente, gli intellettuali gesti signorili e superiori snobbavano involontariamente chiunque stava seduto ai tavoli vicini. Sorseggiando con una classe incredibilmente naturale il suo Vodka-Martini, si godeva, come molte altre persone, una leggera brezzolina che accarezzava i volti arrossati dei passanti e scorreva vivace fra i vicoli del borgo. Da una delle tante viuzze laterali apparve d'improvviso una ragazza, accompagnata sottobraccio da quello che pareva essere il suo fidanzato. Il giovane dai modi compassati ebbe un sussulto. Era molto graziosa, non bella. Un viso soave, una bellezza timida che appariva in tutta la sua freschezza quando su quel volto all'acqua e sapone appariva come d'incanto un magnifico sorriso. La pelle liscia, la fronte rilassata e gli occhi che brillavano, gli angoli della bocca costantemente piegati all'insù, pronti a diventare un sorriso appena potevano. Si notava come costei non frequentasse certamente il quartiere malfamato della tristezza nella grande città della vita. Era una ragazza Serena. Assieme al suo accompagnatore si accomodarono ad un tavolo accanto all' uomo aristocratico; lei non riuscì a notarlo. Lui invece la scrutò con una dolcezza che da anni non appariva più fra quei lineamenti scolpiti nel marmo. Conosceva bene quei profumati capelli neri, quel viso morbido e felice, quel corpo dai movimenti scattanti. Conosceva a meraviglia quella persona stupenda, quel carattere dolce e semplice, quell'amore per ogni piccola o grande cosa, per ogni evento della vita. Il suo cuore accelerò il proprio ritmo. Rimase ad ascoltarli. Lei chiese con allegria un chinotto alla fragola, il suo fidanzato si fece portare una birra. Parladogli, Lei gesticolava gaiamente, prendendogli di tanto in tanto in tanto le mani, il suo compagno discorrendo imprimeva un pesante accento dialettale al suo dialogo sgrammaticato, colorandolo di folcroristiche imprecazioni. Lei indossava una bianca camicetta di cotone leggero e un paio di pantaloni alla zuava, ai piedi scarpe da ginnastica. Al collo portava un vecchio fuolard di seta azzurro intenso, annodato all'altezza dei piccoli seni, dal quale non si separava mai. Lui lo riconobbe. Il fine gentiluomo dopo un poco si alzò, lasciando una banconota sotto il bicchiere, ed andò con il suo fare sciolto ed elegante a sedersi al tavolo della coppia. A Lei scappò un gridolino di stupore nel vederlo, e i bellissimi occhi le divennero lucidi mentre un sorriso, bello come non mai, di quelli come non ne sfoggiava più da tempo, adornò il suo volto. Presentandosi all'accompagnatore della ragazza come un prestigiatore, il gentiluomo invitò il dialettale a stendere le braccia in avanti, a palmi rivolti verso il basso. Incuriosito dai modi del neoarrivato, il fidanzato dai capelli tinti stese le braccia scoprendo sullo sviluppato bicipite sinistro, coperto dalla manica di una maglietta, arrotolata per alloggiare un pacchetto di sigarette, un licenzioso tatuaggio raffigurante una ninfa vestale concedentesi ad un muscoloso lupo grigio. A questo punto l'uomo compassato adagiò sui dorsi delle mani del fidanzato i due bicchieri che stavano sul tavolo. Poi, porgendo alla ragazza Serena il braccio, si allontanò con Lei lasciando al tavolo l'allibito dialettale. Se ne andarono insieme senza dire una parola, guardandosi di tanto in tanto negli occhi ma continuando a camminare. Giunti in una caratteristica piazzetta allietata dal gorgheggiare di una fontana e colorata da mille fiori alle finestre, lui la prese dolcemente per mano e facendole eseguire una piroetta se la portò davanti. Si guardarono per qualche istante fissi nei loro sguardi. Gli occhi di lei si ricolmarono di lacrime di gioia. I due non riuscivano a dirsi nulla, non riuscivano a fare nulla; non era necessario parlare, era superfluo agire. Rivoli di gioia scendevano dagli occhi di Lei, solcandole le candide gote, mentre continuava estasiata a guardare gli occhi di Lui. Poi, alla fine, si abbracciarono intensamente. In quell'immenso abbraccio stava dentro tutto quello che erano, l'amore, la gioia, e quello che erano in quell'istante, alfine di nuovo assieme.